martedì 30 ottobre 2012

ILLUMINATI, PROGRESSISTI E DEMOCRATICAMENTE TOTALITARI

La rubrica “L’amaca” di Michele Serra è rimasto l’ultimo motivo per il quale può ancora valere la pena sfogliare - al bar - “La Repubblica”, giornale che si può pacificamente definire mero portavoce del governo Monti. Serra è sempre stato un giornalista acuto, critico, immune da quella sindrome da difensore accanito del PD che invece dilaga nella testata nella quale lavora, e colpisce anche altri giornalisti potenzialmente capaci come Curzio Maltese.
Ultimamente, diciamo da circa un anno, mi capita sempre più spesso di non trovarmi d’accordo con Michele Serra; forse sono io ad essere cambiato ma che questo accada da quando si è insediato il nuovo governo mi fa pensare, maliziosamente, che il morbo al quale era rimasto immune abbia contagiato anche lui. Ho provato a scrivergli un paio di volte, per esprimere il mio dissenso su certe sue prese di posizione in merito all’11 settembre e al terrorismo degli anni ’70, ma senza ottenere risposta, benché entrambe le e-mail fossero degli attestati di stima nei suoi confronti, presentassero dei toni molto cordiali e contenessero numerose argomentazioni a sostegno della mia opinione.
Leggendo “L’amaca” di oggi mi è venuta quindi voglia di esprimere il mio dissenso e le relative motivazioni, ma sapendo che Serra neanche questa volta mi degnerebbe della sua attenzione, ho deciso di pubblicare un post ad hoc.
In merito all’elevato astensionismo nelle elezioni siciliane (delle quali non me frega assolutamente nulla), scrive Serra: “Se il proposito di chi non vota è tirare una bordata alla politica, depotenziarla, dequalificarla, il risultato è sempre l’esatto contrario: nei suoi nuovi confini, più ristretti, la politica può ugualmente sommare i voti che le restano dentro il cerchio magico del cento per cento. Chi è andato a votare, per quanto minoranza, pesa come una totalità”. Quindi prosegue spiegandoci il meccanismo con il quale l’astensionismo di massa non fa altro che diminuire il numero di voti necessari a governare. Infine conclude: “Ovviamente chi non va a votare ha le sue rispettabili ragioni, e il diritto di non farlo. Ma perde il diritto di lamentarsi per quanto accadrà, e acquisisce il dovere di tacere e di subire, perché ha taciuto e subito nel giorno delle elezioni.”
Andiamo per ordine. Se chi non vota è un povero illuso che crede di colpire la politica ma la rinforza, qual è il motivo per cui Serra va a votare? Da strenuo difensore della politica e dei suoi meccanismi perversi, Serra dovrebbe essere grato a chi diserta le urne, perché rafforza il giocattolino in cui crede, non dedicargli un’intera amaca di rimproveri che suona tanto come una nota della maestra. L’alternativa è che Serra sia invece un oppositore della politica, sia lui a volerla depotenziare e dequalificare, e che di conseguenza veda come fumo negli occhi quelli che, non votando, fanno invece il gioco del suo nemico.
Delle due l’una: o deve essere grato a chi rafforza il sistema in cui crede ciecamente, o deve ammettere che il vero sovvertitore, depotenziatore e tiratore di bordate è lui che vota, e che lo fa appunto con fini, se non sovversivi, almeno rivoluzionari. Un atteggiamento incoerente nel primo caso, un ragionamento illogico nel secondo.
Ma a me interessano relativamente i sermoni democratici che il breviario repubblichino impartisce quotidianamente ai suoi benpensanti lettori-chierichetti. Che Serra quindi sia incoerente non può e non deve stupire, però che passi alle offese può e deve fare incazzare chi come me non crede nelle elezioni.
E' inutile che parli di “rispettabili ragioni”, se poi mi dice che devo tacere. L’illuminato e illuminista Michele Serra evidentemente non considera degni di partecipare alla recita della sua democrazia coloro che non ne riconoscono le regole, e per lui il corpo elettorale coincide, in toto, con la società civile.
Va bene. Peccato che i finanziamenti pubblici con il quale il suo giornale lo paga siano raccolti tra tutti i cittadini, non solo tra quelli che vanno a votare. Se lo ricordi, quando prende un treno, va in ospedale, accende la TV o manda i figli a scuola.
Secondo Serra, chi non si riconosce in nessun partito o non accetta l’idea che alla guida del Paese ci siano deficienti, arrivisti, ladri, corrotti, puttane e corruttori, deve stare zitto. Anche se si vede sottratto dal fisco metà del proprio salario, anche se non ha un lavoro, anche se lavora in nero, anche se i politici che ha votato l’ultima volta hanno sommerso la sua città di rifiuti e le sue campagne di cemento, anche se è stato sfollato e vive nella baracche perché i suoi soldi non sono stati spesi in edifici pubblici sicuri o in interventi contro il dissesto idrogeologico, ma intascati dai mafiosi di turno.
Da questo punto di vista Serra si conferma un perfetto democratico: o la pensi come lui, o non hai diritto all'esistenza politica. Quello dei democratici è un nazi-fascismo politeista: non c’è un solo Fuhrer o Duce da venerare, ce ne sono molteplici, vanno tutti bene, a patto che tu ne scelga uno. Che sia Renzi, Alfano, Di Pietro, Grillo (lo odia, ma odia di più i non votanti), Casini, Bersani, Vendola, Storace o Fiore, devi per forza sceglierne uno e seguirlo fino alla fine, che non è un bunker o piazzale Loreto, ma la disoccupazione, il suicidio per i troppi debiti, l’avvelenamento da amianto o diossina.
Sono sempre stato anti-liberale e lo sono tuttora, con accresciuta convinzione. Serra, come tutti i giornalisti italiani (e non solo), sarà invece felice di essere definito “liberale”, parola che per me suona come un’offesa, per lui come un complimento. In questo frangente, mio malgrado, devo riconoscere di essere più liberale di lui. Per quanto non creda nella democrazia, io non voglio azzittire tutti quelli che (a mio parere ingenuamente) hanno fiducia in questo sistema. Io so che Serra paga le tasse anche per dire cose con le quali non concordo e credo che il confronto con le sue idee possa essere utile, prima di tutto, per me. Mi dispiace tuttavia che chi si riempie tanto la bocca con frasi del tipo “darei la vita per dare al mio nemico il diritto a dire ciò che pensa”, non si faccia scrupoli a contraddirsi in modo così palese.
A Serra poi chiedo: ha mai provato da collega a dire di tacere a Giorgio Bocca, che negli ultimi anni della sua vita aveva smesso di votare? Hai mai pensato che pensatori come Mosca, Pareto o Michels non sono proprio degli idioti?
Personalmente, non sono così ingenuo da sperare che non votando si possa attuare un cambiamento, l’ho sempre saputo. Non sono neanche così scemo però da non capire che questo sistema si basa sul consenso, esattamente come quello di ogni dittatura, caro Serra. Un consenso che chiama i cittadini in adunata, non nelle piazze (anzi, quelle le preferisce vuote), ma nelle urne. Un consenso che è l’unica forma di legittimazione di questo potere che vive, agisce e opera sempre in funzione del consenso.
Quando non lo fa, emerge in tutta chiarezza la sua natura non democratica. Quando governa con il 15% dei voti della cittadinanza (come accadrà in Sicilia) si palesa per quello che è: un sistema di potere composto da una élite che governa in ogni caso anche contro la volontà della cittadinanza. Il governo nazionale ne è un esempio lampante: neanche i sondaggi truccati dalla propaganda del regime riescono a nascondere che l'esecutivo di Monti è odiato dalla popolazione, con la quale si rapporta come se le avesse dichiarato guerra. Perché a tutti è chiara la fragatura? Perché siamo sempre più poveri, certo, ma soprattutto perché questo governo non ha la legittimazione popolare delle elezioni. Può inventarsi dati fasulli, ma non può dire di rappresentare il volere degli italiani.
Senza il quorum, la legittimità del governo viene negata e il re è nudo. Non sarà certamente questa constatazione, chiara ai suoi stessi sostenitori, a far vacillare gli equilibri di interessi e poteri che governano il Paese. Non votare, da questo punto di vista è assolutamente inutile. Il senso del non voto (almeno per me, perché per quanto riguarda i siciliani viene da pensare che a votare o a non votare sia sempre la mafia) è di carattare esclusivamente etico. Non ha una progettualità politica e non ha obiettivi se non quello di sentirsi a posto con sè stessi.
Negli anni Trenta erano in molti in piazza Venezia, ma ancora di più erano quelli che stavano a casa piuttosto che andare ad applaudire il Duce. Non sono stati certo loro a far cadere Mussolini, ma le bombe angloamericane e la sconfitta nella guerra. La loro azione era da questo punto inutile ma, a guerra finita, potevano guardarsi allo specchio con serenità perché si sentivano a posto con la coscienza, dato che non avevano supportato un regime che ritenevano nemico degli italiani.
Quando penso ai governi, nazionali o regionali, passati e futuri, penso appunto ad un regime nemico degli italiani, nato dall'occupazione militare straniera e tenuto in piedi da interessi militari, strategici, politici ed economici dei vari governi americani, della BCE, della Banca Mondiale, del FMI. Provo cioè rabbia e impotenza, ma non rimorso, perché con le mie astensioni, passate e future, ho scelto di esprimere con chiarezza il mio dissenso a questo sistema di potere. E' inutile, lo ripeto, ma una presa di posizione etica non deve essere utile.
I repubblichini di Repubblica, nel loro convincerci a votare per il PD, anzi per Bersani, nel loro ringraziare Monti e Fornero per distruggere quel poco che rimane di questo Paese, possono dire lo stesso? Evidentemente no, e per questo individuano come colpevole dell’attuale situazione il solo Berlusconi, tanto che vogliono perfino persuaderci di quanto siano divenati buoni e bravi i suoi alleati di ieri, come l’UDC di Cuffaro in Sicilia, o Tabacci alle primarie del PD (ma l’elenco di quanti ieri erano dipinti come delinquenti e oggi paladini della giustizia, da Fini alla Buongiorno, è interminabile).
Si dimenticano cioè che se Berlusconi ha potuto fare quello che ha fatto, è perché i suoi servi lo hanno reso possibile e perché i suoi pseduo-oppositori (pagati, ricordiamolo, da tutti gli italiani, non solo dai loro elettori) glielo hanno concesso. Sì, cari miei, perché negli ultimi 17 anni Berlusconi ha governato per 10 anni e il centro-sinistra per 7, quindi non stiamo uscendo dal Ventennio fascista. Stiamo uscendo da una fase in cui c’è stata un'effettiva alternanza di governi, seppur la politica non abbia conocsciuto sconvolgimenti: cosa hanno fatto per risolvere il conflitto d’interessi i vari D’Alema, Prodi, Bersani? La scuola pubblica è stata sepolta dalla Gelmini e da Passera, ma non dimentichiamo che Berlinguer e De Mauro le avevano già inflitto le prime pugnalate mortali. Non dimentichiamo che De Gregorio e Scilipoti in parlamento ce li ha portati l’Italia dei Valori. Non dimentichiamo che nessuno ha mai pensato di ritirare le truppe dall’Afghanistan (ma che strano che nessuno ne parli ancora, nonostante vengano tassati anche i cani dei non vedenti, pur di far contenti banche e mercati, veri detentori del potere).
Io ho l’onore di non essere stato partecipe, nemmeno inconsapevole, dello sfacelo della scuola, della sanità, della cultura e dell’economia italiana. Per questo motivo dovrei accusare la maggioranza dei cittadini italiani che con il loro voto hanno messo benzina in questo macchinario, alimentando corruzione e malaffare. Ma non lo faccio, perché li reputo comunque delle vittime di un sistema di potere che li ha utilizzati per avere i loro soldi e il loro consenso, ora spaventandoli, ora imbonendoli, sempre rincretinendoli con giornali e TV.
I democratici italiani si riconoscono in settant’anni di governi bombaroli, mafiosi, corrotti e consociativi, oggi rivalutati anche a sinistra, in primis da “La Repubblica” e dal suo mentore Eugenio Scalfari. Per i democratici nostrani, la perdita di sovranità nazionale è un bene, è auspicabile. Per loro distruggere il paesaggio costruendo opere come la Tav o dilapidare le nostre finanze per occupare Paesi che stanno dall’altra parte del mondo è giusto. Rinnegare i propri ideali e il proprio passato per delegare allegramente ogni scelta politica agli agenti economici vuol dire essere dei politici saggi.
Io la vedo in maniera diametralmente opposta. Come potrei, in assenza di simili requisiti, ordinare di tacere a chi non la pensa come me?

1 commento:

  1. Sante parole, caro Kopp, sante parole.

    Soprattutto la tua analisi di quello che è il senso vero e profondo della democrazia è impeccabile.
    Un sistema di potere, certo, e non la realizzazione del migliore dei mondi possibili o di una qualsivoglia promessa. Tuttavia è in questi ultimi due termini che la storia ci viene presentata sin da bambini a scuola.
    Un sistema di potere si basa sul consenso, questo è vero, eppure è attraverso la neutralizzazione del dissenso che quello attuale ha costruito le sue fortune: e bisogna riconoscere che questo meccanismo è progettato in modo ammirevole. Esso non ricaccia il dissenso lontanto, non lo rinchiude dentro campi di concentramento, ma lo include nel sistema, gli dà spazio e forma, ne definisce l'identità. E finisce per farne una sua appendice, la zona in ombra che si forma intorno ad un cono di luce, e che deve il suo "essere ombra" a quella stessa luce. La macchina democratica depotenzia il dissenso perchè gli fornisce le parole per esprimersi. E così gli sottrae la sua forza potenzialmente dirompente, facendolo apparire, nel migliore dei casi, come una carnevalata.
    E' da sottolineare che in questo panorama uniforme che il liberalismo ha creato, viene a mancare proprio la libertà che esso sbandiera! La democrazia, la mobilitazione totale delle masse dentro l'apparato politico democratico, sono la forma più compiuta di totalitarismo.
    Se il mio dissenso è incluso fra le variabili previste dal sistema, allora come faccio ad utilizzarlo "contro" il sistema? Come faccio a contrappormi frontalmente al sistema? Insomma siamo dentro ad un circolo vizioso. O meglio, siamo soci di un circolo vizioso (come direbbero Elio e le storie tese).

    Io non voto più da alcuni anni e tuttavia trovo difficile difendere questa posizione: la verità è che la mia astensione vale esattamente quanto un voto, e allora il suo valore è ridimensionato di parecchio. E su quanto dici circa l'inutilità di un giudizio etico, non sono molto d'accordo: chi se ne stava a casa mentre il Duce celebrava la sua grandezza a piazza Venezia, ha certo agito meglio di chi a piazza Venezia c'è andato, ma avrebbe potuto fare di più. E' indubitabile, però, che seguendo la logica del discorso si arriva inevitabilmente a giustificare le azioni violente contro il sistema. Ma chi come me non ha il coraggio e la capacità (e neanche la fede incondizionata nelle proprie idee) per agire in questo modo? Temo sia destinato a rimpinguare la schiera degli "indifferenti", dei pesi morti della storia. Dovrò evitare di incrociare il mio sguardo in uno specchio.


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