Già da qualche anno i
sistemi politici dei Paesi dell'Occidente, nessuno escluso, si sono
stabilizzati tanto da diventare praticamente immobili e assolutamente
identici fra loro.
Voi direte che è vero il
contrario, perché se negli Usa c'è il bipolarismo dei partiti
repubblicano e democratico, similmente a quanto accade in Inghilterra
con i laburisti e i conservatori, da altre parti la scena politica è
completamente diversa.
In Germania ad esempio ci sono i verdi, la
sinistra radicale, i democristiani, i conservatori; anche in Francia
ci sono i socialisti, oltre ai liberali di destra, agli xenofobi
della Le Pen, e ad altri settemila partiti della sinistra. Anche il
nostro caso è emblematico: da noi ci sono gli pseudo-comunisti, i
comunisti rinnegati, gli pseudo-fascisti, i fascisti rinnegati, i
democristiani (rinnegati e non), i craxiani (riciclati e non), i
leghisti, i giudici, i nani, i preti, i comici, le mignotte e così
via.
Non può essere
considerato un bipolarismo il nostro, direte voi, se per ogni partito
ci sono ventiquattro proposte di legge elettorale, dodici di riforma della
giustizia, un milione di idee diverse per disintegrare
definitivamente l'ambiente con la cementificazione selvaggia.... I partiti sono numerosi e, come se non bastasse, ognuno ha al
suo interno posizioni diverse, personaggi in competizione tra loro,
voci dissenzienti e correnti varie. Ne deriva un quadro frammentato,
impossibile da ridurre alla contrapposizione tra due soli schiramenti, due sole visioni del mondo e
della società, due soli ordini di idee.
Eppure io sostengo che in
realtà l'intero Occidente è uniforme nel presentare quello che si
può definire, senza timore di smentita, un bipolarismo perfetto. Un
bipolarismo che accomuna l'Italia, la Francia, gli Usa,
l'Inghilterra, la Spagna e tutti gli altri. Un bipolarismo che, al di là
dei nomi dei partitini che si divertono a farci litigare nelle
osterie, è individuabile in due schieramenti, non nemici, bensì
complementari: il partito degli Huntington e quello dei Fukuyama.
LE MENTI
Molti lettori hanno
capito a cosa mi riferisco, altri non conoscono i nomi che ho appena
citato. Male, perché sono i nomi dei due pensatori che, ben più di Obama, Monti, Draghi, la Merkel, Maria De Filippi o il Papa influiscono sulle
scelte politiche dei nostri governi.
Due pensatori che riassumono,
nelle loro opere, l'intero modo di pensare dell'uomo occidentale di
oggi. Proverò a delinearne il pensiero, senza banalizzarlo, ma allo stesso tempo senza tediare
chi lo conosce già.
Secondo Samuel P.
Huntington nel mondo convivono diverse civiltà, tra di loro
inconciliabili e inevitabilmente destinate a lottare per imporsi
l'una sull'altra. Il passaggio storico tra il XX e il XXI secolo
sarebbe quindi quello dello scontro tra la società
liberal-liberista-democratico-capitalista-hamburger e il mondo
islamico. Francis Fukuyama, suo allievo dissenziente, sostiene invece
che di civiltà ce n'è una, quella appunto di Mtv e dei pop-corn, e
che tutti i popoli della terra che non ne hanno ancora abbracciato
con entusiasmo i vantaggi, si accorgeranno a breve del loro errore e
si libereranno, adottando sistemi politici democratici. Ecco allora
che la storia, per come l'abbiamo intesa, con tutti i suoi casini
(guerre, scontri etnici, persecuzioni razziali, dittature) è
destinata a finire: è solo questione di tempo e tutti gli uomini si
renderanno conto che il modello di vita occidentale è il migliore
mai apparso sulla Terra, vi si adegueranno, e vivranno tutti felici e
contenti.
Queste, in due parole, le
teorie dello “scontro di civiltà” di Huntington e della “fine
della storia” di Fukuyama. I due non hanno mai fatto politica
attiva, nel senso che non hanno mai corso per la Casa Bianca e non
hanno mai bombardato, di persona, nessun Paese arabo. Hanno però un
curriculum non da poco, maturato negli ambienti parastatali, quelli
dei think thank - le famigerate 501(c) - di cui si è già parlato in
queste pagine. Huntington è un ideologo del pensiero
Noeconservatore, è stato allievo di Leo Strauss, consigliere del
presidente Carter, direttore degli studi stategici ed internazionali
ad Harvard, fondatore della rivista Foreign Policy. Una rivista
influentissima, che si potrebbe definire il laboratorio della
politica estera statunitense. Fukuyama, docente
universitario in prestigiosi atenei come Stanford e Johns Hopkins, è in Foreign Policy un ospite molto frequente, ormai di casa.
Huntington
e Fukuyama, pur nelle loro differenze, sono accomunati da un assunto
di fondo: la convinzione, dai tratti fideistici, che la nostra civiltà, o
meglio quella americana, sia superiore a tutte le altre e che il
nostro mondo rappresenti il migliore dei mondi possibili. A
differenziarli è una sfumatura, seppur molto significativa.
Per
Huntington la sopravvivenza e l'egemonia sono praticamente sinonimi e
lo scontro tra le civiltà non può giungere ad una risoluzione che
non comporti il dominio di una civiltà sull'altra. Ecco allora
che l'Occidente deve difendere la propria posizione di preminenza
contro chi cercherà di rialzare la testa, l'Islam in primis.
Fukuyama è invece un fondamentalista hegeliano, per certi versi un pasdaran
neo-marxista. Per lui le civiltà e i relativi scontri sono un
accidente momentaneo, destinato a scomparire quando arriveremo
appunto alla fine della storia, cioè alla sintesi suprema, sinonimo di pace assoluta.
GLI ESECUTORI
Provate, per un attimo, a
guardare la politica internazionale sotto la lente della dicotomia
tra i due e vi saranno certamente più chiare le ragioni per cui io
affermo il domino incontrastato del bipolarismo.
Partiamo dagli Usa. Bush
ha incarnato alla perfezione il pensiero di Huntington. Ha
individuato un' “asse del male”, incarnata dal “terrorismo” e
dal “fascismo islamico” e ha così dichiarato guerra ad afghani,
palestinesi, iracheni, libanesi... Ha scatenato la caccia
all'islamico in patria e nel mondo, ha cercato di convincerci tutti
che le guerre che dichiarava scaturivano dalla necessità di difendere
gli Stati Uniti e la loro way of life da
quelle orde barbariche che volevano distruggerli con esplosivi,
antrace, armi chimiche, batteriologiche e così via. I fantomatici
“terroristi” ai quali ha dato la caccia erano una minaccia per la
nostra sicurezza perché, a dire suo e dei suoi scagnozzi,
incarnavano un modello di vita che significa miseria, oppressione,
mancanza di libertà. La negazione, cioè, di quello che rappresenta
l'America, patria della libertà.
Bush,
coerentemente con la storia degli Stati Uniti, ha difeso la
supremazia statunitense con l'arroganza, la violenza, le bombe. Ha
adottato, platealmente, i termini della ragion di Stato, della tutela
degli interessi americani, della lotta per la sopravvivenza degli Stati
Uniti. La sua concezione della ragion di Stato tuttavia non era
quella classica, ottusa, limitata all'interesse nazionale, perché la
sua presidenza, coerentemente con il pensiero del suo mentore, ha elevato
gli Stati Uniti, da nazione tra le nazioni, per quanto dominante, a
modello di civiltà, rappresentativo dell'intero Occidente.
Anche
Obama è stato coerente con la storia degli Stati Uniti, sebbene al
posto delle bombe abbia preferito i soldi, i sorrisi e Hollywood. Il
tentativo di rilanciare l'immagine degli Usa ha avuto i connotati
dell'universalismo propri dell'ideologia incarnata da Fukuyama. Obama
non ha parlato di politica di potenza né di egemonia, ma di diritti
umani, di lotta all'oppressione e di libertà, applicati all'intero
genere umano, non ai soli Stati Uniti, né alla sola civiltà
occidentale.
Si è
rivolto ai musulmani e agli arabi come se fosse uno di loro,
assumendo un atteggiamento da fratello maggiore. Ha detto loro: “io
non vi bombardo come ha fatto quello prima di me (o meglio, lo faccio senza dirlo a nessuno), ma voglio farvi capire che esiste un mondo, il
nostro, ben più bello del vostro. Altroché Maometto e il Ramadan, noi abbiamo
il baseball, la Coca Cola, addirittura possiamo votare. Ma che
aspettate? Liberatevi dei satrapi che vi governano e delle
superstizioni di cui siete schiavi, e partecipate anche voi al gran
gala dei popoli liberi.” Ha cioè proposto un modello universale,
ritagliato a misura sul modello di quello americano, valido per tutti gli altri popoli.
Non
ha indossato l'elmetto per abbattere i regimi di Ben Alì e Mubarak.
Ha bombardato Gheddafi, è vero, ma solo perché la capacità di
resistenza di quest'ultimo è andata oltre le aspettative, e il
metodo del “twitter-golpe” non aveva funzionato con il
Colonnello. La guerra di Libia è stata quindi un imprevisto, un
fuori programma. Anche Assad deve essere stato un osso più duro del
previsto. Sono rimasti in pochi a credere alla favoletta
della piazze colorate e dei pugnetti chiusi, e non è al momento
ipotizzabile, per la Siria, una nuova operazione in stile Libia senza che
ricompaiano nelle piazze, con tutto il loro fragore e la loro
inconcludenza, i movimenti pacifisti.
Non
nei fatti, perché la politica di egemonia mondiale degli Usa è
rimasta assolutamente immutata (anzi, il nobel per la pace ha dato
una significativa accelerazione in tal senso) ma nei toni, da un
punto di vista dialettico e di forma mentis, Bush e Obama hanno
incarnato alla perfezione le due diverse concezioni. Uno ha imposto
lo scontro frontale, l'altro si è presentato come il “redentore”,
il “liberatore”. Per Bush l'annientamento del nemico era una
questione di sopravvivenza, di difesa del proprio modo di essere e di
vivere, dei propri usi e costumi. Per Obama è stata una missione,
un'opera pia, un aiuto. Se Bush ha avuto come modello il Vietnam,
Obama ha optato per il piano Marshall.
ALLA
PERIFERIA DELL'IMPERO
Vediamo
quindi che il bipolarismo concettuale, elaborato dai due filosofi ed
incarnato dai due presidenti trova un punto di convergenza nel
ragionamento di base, quello del modello unico di società, sia esso
privilegio esclusivo nostro o dell'intero pianeta. Si
svela di conseguenza, su scala globale, il contenuto fondamentalmente
totalitario di questo ordine di idee. E' la glorificazione della
superiorità del “mondo libero”, dell'Occidente secolarizzato e
liberato dalle ideologie che ne hanno funestato la storia nel
Novecento, ormai immune da ingerenze religiose e rigurgiti
dittatoriali.
Come
siamo arrivati a questo punto? In primis perché siamo stati noi
europei ad accettare questa idea per cui la libertà dovrebbe
coincidere con il modello di vita statunitense.
Prendiamo
il caso italiano e applichiamolo proprio all'esempio della Libia di
Gheddafi. Non c' stato un solo partito, né uomo politico che in
Italia si sia opposto all'intervento militare nel nome del principio
basilare e sacrosanto dell'autodeterminazione dei popoli. Possiamo
considerare la Lega come l'unica eccezione? Evidentemente no, dato
che alla base della sua contrarietà ai bombardamenti c'era l'esclusivo
interesse elettorale a cavalcare i timori - in ogni caso non infondati - per un enorme afflusso migratorio verso l'Italia. Esattamente come tutte
le altre forze politiche, la Lega non ha avanzato questioni di
principio ed ha condiviso l'idea che i libici, scoprendo i reality
show e i giornaletti porno, si sarebbero liberati e andavano in
questo senso aiutati, devastando il loro Paese con le bombe e
depredando le loro ricchezze.
Stessa
cosa stanno facendo, tutti, con Assad: avete sentito qualcuno dire
che è una vicenda, quella della guerra civile in Siria, nella quale
gli unici ad avere voce in capitolo devono essere i siriani? No,
perché si approcciano, i nostri politici, secondo due ragionamenti.
Il primo, seguendo il filone Huntington-Bush, è quello
berlusconiano-leghista, secondo cui si tratta di popoli inferiori che
capiscono solo le bombe, perché vogliono privarci della nostra
libertà e poi se noi andiamo nei loro Paesi facciamo così mentre se
loro vengono qua e bla bla bla. Il secondo ragionamento è quello
della scuola Fukuyama-Obama, incarnato da TUTTA la nostra sinistra:
noi vorremmo gli arabi liberati dal giogo della religione, li
vorremmo ricchi, belli e felici, con gli I-pod, le pettinature in
stile Emo, i jeans (comprati già strappati) al posto delle tuniche.
Per loro, a differenza di Bush o Berlusconi, è una questione di
“progresso”, non di violenza: la guerra la fanno quelli di
destra, cattivi violenti e xenofobi, non i portatori di civiltà come
loro. Il cocktail di ipocrisia e buone intenzioni li rende tuttavia non meno
detestabili e pericolosi dei vari destroidi xenofobi dai quali
tengono tanto a distinguersi.
Non
perdono infatti occasione per urlare allo scandalo quando, in giro
per il mondo, un regime non amico degli Usa reprime i suoi
oppositori. I Vendola e i Bersani hanno mobilitato giornali, bloggers
e radical chic di ogni risma per manifestare solidarietà alle Pussy
Riot, condannate ad un paio di anni di carcere, dimenticandosi che da
noi gli oppositori di anni ne prendono dieci, come accaduto ai
ragazzi di Genova per aver spaccato delle vetrine. E se i
Disobbedienti di turno facessero atti osceni in una chiesa cattolica
(e non ortodossa), per quanto sconsacrata, quale partito, tra quelli
in parlamento e fuori, avrebbe il coraggio di difenderli di fronte
all'opinione pubblica, al governo e al Vaticano?
Dove
finisce l'abbaglio, l'errore di valutazione e comincia la malafede?
Difficile dirlo. Di certo c'è che l'organo ufficiale della corrente
finanziaria nella quale si riconosce l'odierna sinistra italiana,
cioè “La Repubblica”, ha proposto, il 19 agosto scorso,
un'intervista al il leader di Otpor, Srdjia Popovic. I giornalisti
Luca Rastello e Siegmund Ginzberg hanno presentato il prezzolato agente americano come un novello Robin
Hood, che gira il mondo per salvare la gente oppressa, evitando
accuratamente di far notare come la sua organizzazione e quelle ad
essa collegate siano strettamente legate ad organi governativi
statunitensi. Forse che non lo sappiano?
Per
fortuna che ci sono anche giornalisti seri, come Alfredo Macchi,
autore di Rivoluzioni S.p.a. Chi c'è dietro la primavera araba (ed. A voce alta). Un libro che mi ha fatto molto piacere leggere,
perché in esso si possono trovare le stesse tesi da me proposte in
alcuni post pubblicati su questo blog, arricchite da numerose
argomentazioni in più ed una documentazione molto vasta. Cito un
solo esempio, tra i numerosi particolari a me inediti. Lo sapevate
che esistono agenzie private di marketing, alle quali i movimenti
politici di opposizione si rivolgono perché li aiutino a creare
un'immagine positiva del loro movimento, sui mass media, internet
incluso? Si tratta di agenzie che, tra le altre cose, utilizzano
programmi che creano in automatico blog fasulli di oppositori,
alterano i sondaggi, diffondono notizie false (come ad esempio che
Gheddafi era stato incriminato dal Tribunale dell'Aia, notizia
smentita dallo stesso Tribunale quando ormai era troppo tardi). Nel
libro di Macchi troverete questo ed altro.
Procuratevelo,
e leggetelo assieme al libro di Fracassi, intitolato Black bloc.
Viaggio nel pianeta nero. Le internazionali dei pugnetti chiusi,
delle zoccole in rivolta, dei nerovestiti, fino a quelle dei
mercenari armati vi appariranno, allora, in tutta la loro
chiarezza.
CI
RISIAMO?
Nelle
ultime settimane si parla nuovamente di scontro di civiltà, che il
buonismo di Obama sembrava aver relegato alla Storia. Da Bengasi a
tutto il Medio Oriente le ambasciate americane sono state assaltate
da arabi e musulmani inferociti per un film, guarda caso, uscito a
ridosso delle elezioni americane.
Hanno
ripreso fiato i tromboni di chi grida al pericolo islamico, di chi
pubblica le vignette fomentando gli animi, sono stati lanciati
nuovamente gli allarmi per il rischio attentati in Occidente.
La
questione può essere letta secondo una chiave elettorale (il partito
dello scontro di civiltà che gioca un colpo basso a quello dei
“Fukuyamisti”, ipotesi verosimile, se pensiamo al precedente
della crisi degli ostaggi in Iran nel 1979), oppure - meno probabile
- può essere interpretata come una risposta di Russia ed Iran (e
magari Siria) all'offensiva euro-americana dell'ultimo anno e mezzo
in Medio Oriente. Anche Aldo Giannuli riguardo al film su Maometto
sente puzza di bruciato
(http://temi.repubblica.it/micromega-online/aldo-giannuli-il-film-su-maometto-unoperazione-dei-servizi-segreti/).
Aldo ha una visione diversa dalla mia sulle rivolte arabe, ma sulla vicenda
delle ambasciate condividiamo più di un dubbio. Lui tira in ballo lo
stato sionista che, aggiungo, negli ultimi due anni sembra essere
miracolosamente sparito dal Medio Oriente: il governo di Israele non
ha proferito verbo in merito alla caduta dell'alleato Mubarak,
non ha commentato quella del nemico storico Gheddafi, tace tuttora
sull'agonia dell'altro nemico Assad, come se tutto questo non lo
riguardasse. Un atteggiamento un po' strano.
Impossibile
sapere al momento cosa sta accadendo realmente in merito alle piazze
anti-americane, rimane il fatto che i nostri partiti e la nostra
opinione pubblica stanno tornando a dividersi, nitidamente, nei due
schieramenti: quello del “bombardiamoli” e quello dell'
”aiutiamoli a diventare come noi”. Nessuno ha quindi avuto niente
da obiettare quando gli Usa hanno mosso le portaerei e inviato altri
200 marines in Medio Oriente per garantire la propria sicurezza. E'
il segnale che ormai tutti hanno accettato l'idea che in ogni angolo
del mondo gli Usa hanno il diritto di comportarsi come se fossero in Texas
o Masachussets.
Se
dall'altra parte del pianeta assaltano le nostre ambasciate, che
faremmo noi? Prima di tutto, faremmo le valigie, ritireremmo le
rappresentanze per garantire loro la sicurezza, quindi avanzeremo una
protesta nelle sedi internazionali. Non abbiamo la forza militare per
inviare le portaerei, ma neanche la sfacciataggine di spacciare la
tutela delle nostre rappresentanze diplomatiche in paesi lontanissimi
come “questioni di sicurezza nazionale”.
Nel
villaggio mondo, che gli Usa hanno ridotto ad un Afghanistan, cioè
ad un Paese in guerra, nel quale possono spostare uomini, cambiare
piani, bombardare con piloti umani o droni, tutto questo è ormai
accettato, a destra (dove si blatera tanto di patria e valori), come
a sinistra (dove ci si riempie la bocca con diritti umani e
convivenza).
Si
disquisisce sui mezzi da adottare (siano essi la Fox News o le bombe
al fosforo), ma non sul fine: gli arabi e i musulmani devono
convertirsi al culto del consumismo, abbandonare la loro fede e le
loro tradizioni ed entrare nel novero dei "popoli liberi”. Devono sbarazzarsi dei regimi e delle
istituzioni che li governano, per adottarne di analoghi ai nostri,
“laici”, “secolarizzati”, “liberi” e “democratici”.
Aggiungo,
provocatoriamente, una domanda: perché la repressione di Gheddafi e
Assad è stata tanto condannata dalle diplomazie occidentali, ma i
governi che oggi sparano sui manifestanti anti-americani non vengono
invitati ad “ascoltare le aspirazioni dei loro popoli e a farsi da
parte”?
PER L'AUTODETERMINAZIONE SENZA SE E SENZA MA
La
mia voce non si accoda al coro di coloro che, con le bombe o con i
sorrisi, pretendono di far diventare gli altri uguali a noi. Arabi e
musulmani, a mio parere, devono avere riconosciuto il diritto ad
essere ciò che sono, anche se con loro non ho nulla a che vedere.
Anche se sono “arretrati”. Anche se non sono “liberi”. Anche
se sono “poveri”, “superstiziosi”, “fanatici”,
“medioevali”, “antidemocratici” e quant'altro.
Di
fronte alle ingerenze dei Paesi esteri, interessati a colonizzarli da
un punto di vista prima di tutto culturale, quindi economico, io mi
sono schierato con Milosevic, Saddam Hussein, con Gheddafi e ora sto dalla parte
di Assad e dei Talebani. Fossi nato in Serbia, Iraq, Libia, Afghanistan o Siria, sarei stato forse un
oppositore dei regimi in questione, ma sono nato in Italia e di
conseguenza non ho il diritto di decidere chi e come debba governare,
o debba essere deposto, a migliaia di chilometri da casa mia.
Il
bipolarismo perfetto utilizza oggi lo strumento dei mass media e si
appoggia ai vari politicanti locali, vassalli dell'impero, per
convincerci che i mercenari attivi in Siria, per la maggior parte
stranieri, siano dei “liberatori”.
Il
giochino però non funziona più. La natura della “maledetta
primavera” araba e del dissenso fabbricato a misura del
benpensante nostrano è ormai evidente, così come chi scrive non
cadrà nella trappola di chi tenta di scatenare una nuova caccia alle
streghe.
Pur
sapendo che le masse arabe sono in questo momento manipolate (come lo
sono da mesi), e ben consapevole che questa loro rabbia sarà, come
al solito, controproducente per le loro aspirazioni e speranze, provo
un attimo di piacere nel vedere che qualcuno, nel mondo, non accetta
l'arroganza della dittatura bipolare che sta dominando ovunque sempre
più incontrastata.
A me
del pianeta Terra piace la varietà, e dei vari popoli che calpestano
la sua superficie piacciono le differenze, antropologiche, storiche e
culturali. Una diversità che è ricchezza, valorizzazione delle
culture, possibilità di dialogo, di conoscenza reciproca nel
rispetto delle varie identità. Diritti umani, libertà e benessere
non possono essere un alibi con cui poter piallare impunemente
retaggi culturali e tradizioni millenarie, riducendo l'intero globo
ad un geometrico ed asettico punto di rivendita di telefoni
cellulari.
Un
mondo uniformato politicamente, ideologicamente, economicamente è
qualcosa di aberrante, che solo la follia illuministica poteva
partorire, e solo la vittoria degli Usa nella II Guerra Mondiale prima, e
nella guerra fredda poi, poteva imporre al pianeta. Possibile che nella
nostra tanto avanzata democrazia, nella nostra così perfetta
civiltà, dove c'è libertà di voto, pensiero e parola, non c'è
nessuno che dissenta e che si opponga a tutto questo?
articolo fantastico ma...
RispondiEliminasiamo mosche bianche noi che la pensiamo cosi, quando affronto tali argomenti la gente mi prende per pazzo...
Grazie dei complimenti. Forse dobbiamo sperare entrambi di essere pazzi e di sbagliarci, perché se la realtà è come la (intra)vediamo noi, c'è di che preoccuparsi...
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