lunedì 24 settembre 2012

UN BIPOLARISMO PERFETTO

Già da qualche anno i sistemi politici dei Paesi dell'Occidente, nessuno escluso, si sono stabilizzati tanto da diventare praticamente immobili e assolutamente identici fra loro.
Voi direte che è vero il contrario, perché se negli Usa c'è il bipolarismo dei partiti repubblicano e democratico, similmente a quanto accade in Inghilterra con i laburisti e i conservatori, da altre parti la scena politica è completamente diversa.
In Germania ad esempio ci sono i verdi, la sinistra radicale, i democristiani, i conservatori; anche in Francia ci sono i socialisti, oltre ai liberali di destra, agli xenofobi della Le Pen, e ad altri settemila partiti della sinistra. Anche il nostro caso è emblematico: da noi ci sono gli pseudo-comunisti, i comunisti rinnegati, gli pseudo-fascisti, i fascisti rinnegati, i democristiani (rinnegati e non), i craxiani (riciclati e non), i leghisti, i giudici, i nani, i preti, i comici, le mignotte e così via.
Non può essere considerato un bipolarismo il nostro, direte voi, se per ogni partito ci sono ventiquattro proposte di legge elettorale, dodici di riforma della giustizia, un milione di idee diverse per disintegrare definitivamente l'ambiente con la cementificazione selvaggia.... I partiti sono numerosi e, come se non bastasse, ognuno ha al suo interno posizioni diverse, personaggi in competizione tra loro, voci dissenzienti e correnti varie. Ne deriva un quadro frammentato, impossibile da ridurre alla contrapposizione tra due soli schiramenti, due sole visioni del mondo e della società, due soli ordini di idee.
Eppure io sostengo che in realtà l'intero Occidente è uniforme nel presentare quello che si può definire, senza timore di smentita, un bipolarismo perfetto. Un bipolarismo che accomuna l'Italia, la Francia, gli Usa, l'Inghilterra, la Spagna e tutti gli altri. Un bipolarismo che, al di là dei nomi dei partitini che si divertono a farci litigare nelle osterie, è individuabile in due schieramenti, non nemici, bensì complementari: il partito degli Huntington e quello dei Fukuyama.

LE MENTI
Molti lettori hanno capito a cosa mi riferisco, altri non conoscono i nomi che ho appena citato. Male, perché sono i nomi dei due pensatori che, ben più di Obama, Monti, Draghi, la Merkel, Maria De Filippi o il Papa influiscono sulle scelte politiche dei nostri governi. 
Due pensatori che riassumono, nelle loro opere, l'intero modo di pensare dell'uomo occidentale di oggi. Proverò a delinearne il pensiero, senza banalizzarlo, ma allo stesso tempo senza tediare chi lo conosce già. 
Secondo Samuel P. Huntington nel mondo convivono diverse civiltà, tra di loro inconciliabili e inevitabilmente destinate a lottare per imporsi l'una sull'altra. Il passaggio storico tra il XX e il XXI secolo sarebbe quindi quello dello scontro tra la società liberal-liberista-democratico-capitalista-hamburger e il mondo islamico. Francis Fukuyama, suo allievo dissenziente, sostiene invece che di civiltà ce n'è una, quella appunto di Mtv e dei pop-corn, e che tutti i popoli della terra che non ne hanno ancora abbracciato con entusiasmo i vantaggi, si accorgeranno a breve del loro errore e si libereranno, adottando sistemi politici democratici. Ecco allora che la storia, per come l'abbiamo intesa, con tutti i suoi casini (guerre, scontri etnici, persecuzioni razziali, dittature) è destinata a finire: è solo questione di tempo e tutti gli uomini si renderanno conto che il modello di vita occidentale è il migliore mai apparso sulla Terra, vi si adegueranno, e vivranno tutti felici e contenti.
Queste, in due parole, le teorie dello “scontro di civiltà” di Huntington e della “fine della storia” di Fukuyama. I due non hanno mai fatto politica attiva, nel senso che non hanno mai corso per la Casa Bianca e non hanno mai bombardato, di persona, nessun Paese arabo. Hanno però un curriculum non da poco, maturato negli ambienti parastatali, quelli dei think thank - le famigerate 501(c) - di cui si è già parlato in queste pagine. Huntington è un ideologo del pensiero Noeconservatore, è stato allievo di Leo Strauss, consigliere del presidente Carter, direttore degli studi stategici ed internazionali ad Harvard, fondatore della rivista Foreign Policy. Una rivista influentissima, che si potrebbe definire il laboratorio della politica estera statunitense. Fukuyama, docente universitario in prestigiosi atenei come Stanford e Johns Hopkins, è in Foreign Policy un ospite molto frequente, ormai di casa.
Huntington e Fukuyama, pur nelle loro differenze, sono accomunati da un assunto di fondo: la convinzione, dai tratti fideistici, che la nostra civiltà, o meglio quella americana, sia superiore a tutte le altre e che il nostro mondo rappresenti il migliore dei mondi possibili. A differenziarli è una sfumatura, seppur molto significativa.
Per Huntington la sopravvivenza e l'egemonia sono praticamente sinonimi e lo scontro tra le civiltà non può giungere ad una risoluzione che non comporti il dominio di una civiltà sull'altra. Ecco allora che l'Occidente deve difendere la propria posizione di preminenza contro chi cercherà di rialzare la testa, l'Islam in primis. Fukuyama è invece un fondamentalista hegeliano, per certi versi un pasdaran neo-marxista. Per lui le civiltà e i relativi scontri sono un accidente momentaneo, destinato a scomparire quando arriveremo appunto alla fine della storia, cioè alla sintesi suprema, sinonimo di pace assoluta.

GLI ESECUTORI
Provate, per un attimo, a guardare la politica internazionale sotto la lente della dicotomia tra i due e vi saranno certamente più chiare le ragioni per cui io affermo il domino incontrastato del bipolarismo.
Partiamo dagli Usa. Bush ha incarnato alla perfezione il pensiero di Huntington. Ha individuato un' “asse del male”, incarnata dal “terrorismo” e dal “fascismo islamico” e ha così dichiarato guerra ad afghani, palestinesi, iracheni, libanesi... Ha scatenato la caccia all'islamico in patria e nel mondo, ha cercato di convincerci tutti che le guerre che dichiarava scaturivano dalla necessità di difendere gli Stati Uniti e la loro way of life da quelle orde barbariche che volevano distruggerli con esplosivi, antrace, armi chimiche, batteriologiche e così via. I fantomatici “terroristi” ai quali ha dato la caccia erano una minaccia per la nostra sicurezza perché, a dire suo e dei suoi scagnozzi, incarnavano un modello di vita che significa miseria, oppressione, mancanza di libertà. La negazione, cioè, di quello che rappresenta l'America, patria della libertà.
Bush, coerentemente con la storia degli Stati Uniti, ha difeso la supremazia statunitense con l'arroganza, la violenza, le bombe. Ha adottato, platealmente, i termini della ragion di Stato, della tutela degli interessi americani, della lotta per la sopravvivenza degli Stati Uniti. La sua concezione della ragion di Stato tuttavia non era quella classica, ottusa, limitata all'interesse nazionale, perché la sua presidenza, coerentemente con il pensiero del suo mentore, ha elevato gli Stati Uniti, da nazione tra le nazioni, per quanto dominante, a modello di civiltà, rappresentativo dell'intero Occidente.
Anche Obama è stato coerente con la storia degli Stati Uniti, sebbene al posto delle bombe abbia preferito i soldi, i sorrisi e Hollywood. Il tentativo di rilanciare l'immagine degli Usa ha avuto i connotati dell'universalismo propri dell'ideologia incarnata da Fukuyama. Obama non ha parlato di politica di potenza né di egemonia, ma di diritti umani, di lotta all'oppressione e di libertà, applicati all'intero genere umano, non ai soli Stati Uniti, né alla sola civiltà occidentale.
Si è rivolto ai musulmani e agli arabi come se fosse uno di loro, assumendo un atteggiamento da fratello maggiore. Ha detto loro: “io non vi bombardo come ha fatto quello prima di me (o meglio, lo faccio senza dirlo a nessuno), ma voglio farvi capire che esiste un mondo, il nostro, ben più bello del vostro. Altroché Maometto e il Ramadan, noi abbiamo il baseball, la Coca Cola, addirittura possiamo votare. Ma che aspettate? Liberatevi dei satrapi che vi governano e delle superstizioni di cui siete schiavi, e partecipate anche voi al gran gala dei popoli liberi.” Ha cioè proposto un modello universale, ritagliato a misura sul modello di quello americano, valido per tutti gli altri popoli.
Non ha indossato l'elmetto per abbattere i regimi di Ben Alì e Mubarak. Ha bombardato Gheddafi, è vero, ma solo perché la capacità di resistenza di quest'ultimo è andata oltre le aspettative, e il metodo del “twitter-golpe” non aveva funzionato con il Colonnello. La guerra di Libia è stata quindi un imprevisto, un fuori programma. Anche Assad deve essere stato un osso più duro del previsto.  Sono rimasti in pochi a credere alla favoletta della piazze colorate e dei pugnetti chiusi, e non è al momento ipotizzabile, per la Siria, una nuova operazione in stile Libia senza che ricompaiano nelle piazze, con tutto il loro fragore e la loro inconcludenza, i movimenti pacifisti.
Non nei fatti, perché la politica di egemonia mondiale degli Usa è rimasta assolutamente immutata (anzi, il nobel per la pace ha dato una significativa accelerazione in tal senso) ma nei toni, da un punto di vista dialettico e di forma mentis, Bush e Obama hanno incarnato alla perfezione le due diverse concezioni. Uno ha imposto lo scontro frontale, l'altro si è presentato come il “redentore”, il “liberatore”. Per Bush l'annientamento del nemico era una questione di sopravvivenza, di difesa del proprio modo di essere e di vivere, dei propri usi e costumi. Per Obama è stata una missione, un'opera pia, un aiuto. Se Bush ha avuto come modello il Vietnam, Obama ha optato per il piano Marshall.

ALLA PERIFERIA DELL'IMPERO
Vediamo quindi che il bipolarismo concettuale, elaborato dai due filosofi ed incarnato dai due presidenti trova un punto di convergenza nel ragionamento di base, quello del modello unico di società, sia esso privilegio esclusivo nostro o dell'intero pianeta. Si svela di conseguenza, su scala globale, il contenuto fondamentalmente totalitario di questo ordine di idee. E' la glorificazione della superiorità del “mondo libero”, dell'Occidente secolarizzato e liberato dalle ideologie che ne hanno funestato la storia nel Novecento, ormai immune da ingerenze religiose e rigurgiti dittatoriali.
Come siamo arrivati a questo punto? In primis perché siamo stati noi europei ad accettare questa idea per cui la libertà dovrebbe coincidere con il modello di vita statunitense.
Prendiamo il caso italiano e applichiamolo proprio all'esempio della Libia di Gheddafi. Non c' stato un solo partito, né uomo politico che in Italia si sia opposto all'intervento militare nel nome del principio basilare e sacrosanto dell'autodeterminazione dei popoli. Possiamo considerare la Lega come l'unica eccezione? Evidentemente no, dato che alla base della sua contrarietà ai bombardamenti c'era l'esclusivo interesse elettorale a cavalcare i timori - in ogni caso non infondati - per un enorme afflusso migratorio verso l'Italia. Esattamente come tutte le altre forze politiche, la Lega non ha avanzato questioni di principio ed ha condiviso l'idea che i libici, scoprendo i reality show e i giornaletti porno, si sarebbero liberati e andavano in questo senso aiutati, devastando il loro Paese con le bombe e depredando le loro ricchezze.
Stessa cosa stanno facendo, tutti, con Assad: avete sentito qualcuno dire che è una vicenda, quella della guerra civile in Siria, nella quale gli unici ad avere voce in capitolo devono essere i siriani? No, perché si approcciano, i nostri politici, secondo due ragionamenti. Il primo, seguendo il filone Huntington-Bush, è quello berlusconiano-leghista, secondo cui si tratta di popoli inferiori che capiscono solo le bombe, perché vogliono privarci della nostra libertà e poi se noi andiamo nei loro Paesi facciamo così mentre se loro vengono qua e bla bla bla. Il secondo ragionamento è quello della scuola Fukuyama-Obama, incarnato da TUTTA la nostra sinistra: noi vorremmo gli arabi liberati dal giogo della religione, li vorremmo ricchi, belli e felici, con gli I-pod, le pettinature in stile Emo, i jeans (comprati già strappati) al posto delle tuniche. Per loro, a differenza di Bush o Berlusconi, è una questione di “progresso”, non di violenza: la guerra la fanno quelli di destra, cattivi violenti e xenofobi, non i portatori di civiltà come loro. Il cocktail di ipocrisia e buone intenzioni li rende tuttavia non meno detestabili e pericolosi dei vari destroidi xenofobi dai quali tengono tanto a distinguersi.
Non perdono infatti occasione per urlare allo scandalo quando, in giro per il mondo, un regime non amico degli Usa reprime i suoi oppositori. I Vendola e i Bersani hanno mobilitato giornali, bloggers e radical chic di ogni risma per manifestare solidarietà alle Pussy Riot, condannate ad un paio di anni di carcere, dimenticandosi che da noi gli oppositori di anni ne prendono dieci, come accaduto ai ragazzi di Genova per aver spaccato delle vetrine. E se i Disobbedienti di turno facessero atti osceni in una chiesa cattolica (e non ortodossa), per quanto sconsacrata, quale partito, tra quelli in parlamento e fuori, avrebbe il coraggio di difenderli di fronte all'opinione pubblica, al governo e al Vaticano?
Dove finisce l'abbaglio, l'errore di valutazione e comincia la malafede? Difficile dirlo. Di certo c'è che l'organo ufficiale della corrente finanziaria nella quale si riconosce l'odierna sinistra italiana, cioè “La Repubblica”, ha proposto, il 19 agosto scorso, un'intervista al il leader di Otpor, Srdjia Popovic. I giornalisti Luca Rastello e Siegmund Ginzberg hanno presentato il prezzolato agente americano come un novello Robin Hood, che gira il mondo per salvare la gente oppressa, evitando accuratamente di far notare come la sua organizzazione e quelle ad essa collegate siano strettamente legate ad organi governativi statunitensi. Forse che non lo sappiano?
Per fortuna che ci sono anche giornalisti seri, come Alfredo Macchi, autore di Rivoluzioni S.p.a. Chi c'è dietro la primavera araba (ed. A voce alta). Un libro che mi ha fatto molto piacere leggere, perché in esso si possono trovare le stesse tesi da me proposte in alcuni post pubblicati su questo blog, arricchite da numerose argomentazioni in più ed una documentazione molto vasta. Cito un solo esempio, tra i numerosi particolari a me inediti. Lo sapevate che esistono agenzie private di marketing, alle quali i movimenti politici di opposizione si rivolgono perché li aiutino a creare un'immagine positiva del loro movimento, sui mass media, internet incluso? Si tratta di agenzie che, tra le altre cose, utilizzano programmi che creano in automatico blog fasulli di oppositori, alterano i sondaggi, diffondono notizie false (come ad esempio che Gheddafi era stato incriminato dal Tribunale dell'Aia, notizia smentita dallo stesso Tribunale quando ormai era troppo tardi). Nel libro di Macchi troverete questo ed altro.
Procuratevelo, e leggetelo assieme al libro di Fracassi, intitolato Black bloc. Viaggio nel pianeta nero. Le internazionali dei pugnetti chiusi, delle zoccole in rivolta, dei nerovestiti, fino a quelle dei mercenari armati vi appariranno, allora, in tutta la loro chiarezza.

CI RISIAMO?
Nelle ultime settimane si parla nuovamente di scontro di civiltà, che il buonismo di Obama sembrava aver relegato alla Storia. Da Bengasi a tutto il Medio Oriente le ambasciate americane sono state assaltate da arabi e musulmani inferociti per un film, guarda caso, uscito a ridosso delle elezioni americane.
Hanno ripreso fiato i tromboni di chi grida al pericolo islamico, di chi pubblica le vignette fomentando gli animi, sono stati lanciati nuovamente gli allarmi per il rischio attentati in Occidente.
La questione può essere letta secondo una chiave elettorale (il partito dello scontro di civiltà che gioca un colpo basso a quello dei “Fukuyamisti”, ipotesi verosimile, se pensiamo al precedente della crisi degli ostaggi in Iran nel 1979), oppure - meno probabile - può essere interpretata come una risposta di Russia ed Iran (e magari Siria) all'offensiva euro-americana dell'ultimo anno e mezzo in Medio Oriente. Anche Aldo Giannuli riguardo al film su Maometto sente puzza di bruciato (http://temi.repubblica.it/micromega-online/aldo-giannuli-il-film-su-maometto-unoperazione-dei-servizi-segreti/). 
Aldo ha una visione diversa dalla mia sulle rivolte arabe, ma sulla vicenda delle ambasciate condividiamo più di un dubbio. Lui tira in ballo lo stato sionista che, aggiungo, negli ultimi due anni sembra essere miracolosamente sparito dal Medio Oriente: il governo di Israele non ha proferito verbo in merito alla caduta dell'alleato Mubarak, non ha commentato quella del nemico storico Gheddafi, tace tuttora sull'agonia dell'altro nemico Assad, come se tutto questo non lo riguardasse. Un atteggiamento un po' strano.
Impossibile sapere al momento cosa sta accadendo realmente in merito alle piazze anti-americane, rimane il fatto che i nostri partiti e la nostra opinione pubblica stanno tornando a dividersi, nitidamente, nei due schieramenti: quello del “bombardiamoli” e quello dell' ”aiutiamoli a diventare come noi”. Nessuno ha quindi avuto niente da obiettare quando gli Usa hanno mosso le portaerei e inviato altri 200 marines in Medio Oriente per garantire la propria sicurezza. E' il segnale che ormai tutti hanno accettato l'idea che in ogni angolo del mondo gli Usa hanno il diritto di comportarsi come se fossero in Texas o Masachussets.
Se dall'altra parte del pianeta assaltano le nostre ambasciate, che faremmo noi? Prima di tutto, faremmo le valigie, ritireremmo le rappresentanze per garantire loro la sicurezza, quindi avanzeremo una protesta nelle sedi internazionali. Non abbiamo la forza militare per inviare le portaerei, ma neanche la sfacciataggine di spacciare la tutela delle nostre rappresentanze diplomatiche in paesi lontanissimi come “questioni di sicurezza nazionale”.
Nel villaggio mondo, che gli Usa hanno ridotto ad un Afghanistan, cioè ad un Paese in guerra, nel quale possono spostare uomini, cambiare piani, bombardare con piloti umani o droni, tutto questo è ormai accettato, a destra (dove si blatera tanto di patria e valori), come a sinistra (dove ci si riempie la bocca con diritti umani e convivenza).
Si disquisisce sui mezzi da adottare (siano essi la Fox News o le bombe al fosforo), ma non sul fine: gli arabi e i musulmani devono convertirsi al culto del consumismo, abbandonare la loro fede e le loro tradizioni ed entrare nel novero dei "popoli liberi”. Devono sbarazzarsi dei regimi e delle istituzioni che li governano, per adottarne di analoghi ai nostri, “laici”, “secolarizzati”, “liberi” e “democratici”.
Aggiungo, provocatoriamente, una domanda: perché la repressione di Gheddafi e Assad è stata tanto condannata dalle diplomazie occidentali, ma i governi che oggi sparano sui manifestanti anti-americani non vengono invitati ad “ascoltare le aspirazioni dei loro popoli e a farsi da parte”?

PER L'AUTODETERMINAZIONE SENZA SE E SENZA MA
La mia voce non si accoda al coro di coloro che, con le bombe o con i sorrisi, pretendono di far diventare gli altri uguali a noi. Arabi e musulmani, a mio parere, devono avere riconosciuto il diritto ad essere ciò che sono, anche se con loro non ho nulla a che vedere. Anche se sono “arretrati”. Anche se non sono “liberi”. Anche se sono “poveri”, “superstiziosi”, “fanatici”, “medioevali”, “antidemocratici” e quant'altro.
Di fronte alle ingerenze dei Paesi esteri, interessati a colonizzarli da un punto di vista prima di tutto culturale, quindi economico, io mi sono schierato con Milosevic, Saddam Hussein, con Gheddafi e ora sto dalla parte di Assad e dei Talebani. Fossi nato in Serbia, Iraq, Libia, Afghanistan o Siria, sarei stato forse un oppositore dei regimi in questione, ma sono nato in Italia e di conseguenza non ho il diritto di decidere chi e come debba governare, o debba essere deposto, a migliaia di chilometri da casa mia.
Il bipolarismo perfetto utilizza oggi lo strumento dei mass media e si appoggia ai vari politicanti locali, vassalli dell'impero, per convincerci che i mercenari attivi in Siria, per la maggior parte stranieri, siano dei “liberatori”.
Il giochino però non funziona più. La natura della “maledetta primavera” araba e del dissenso fabbricato a misura del benpensante nostrano è ormai evidente, così come chi scrive non cadrà nella trappola di chi tenta di scatenare una nuova caccia alle streghe.
Pur sapendo che le masse arabe sono in questo momento manipolate (come lo sono da mesi), e ben consapevole che questa loro rabbia sarà, come al solito, controproducente per le loro aspirazioni e speranze, provo un attimo di piacere nel vedere che qualcuno, nel mondo, non accetta l'arroganza della dittatura bipolare che sta dominando ovunque sempre più incontrastata.
A me del pianeta Terra piace la varietà, e dei vari popoli che calpestano la sua superficie piacciono le differenze, antropologiche, storiche e culturali. Una diversità che è ricchezza, valorizzazione delle culture, possibilità di dialogo, di conoscenza reciproca nel rispetto delle varie identità. Diritti umani, libertà e benessere non possono essere un alibi con cui poter piallare impunemente retaggi culturali e tradizioni millenarie, riducendo l'intero globo ad un geometrico ed asettico punto di rivendita di telefoni cellulari.
Un mondo uniformato politicamente, ideologicamente, economicamente è qualcosa di aberrante, che solo la follia illuministica poteva partorire, e solo la vittoria degli Usa nella II Guerra Mondiale prima, e nella guerra fredda poi, poteva imporre al pianeta. Possibile che nella nostra tanto avanzata democrazia, nella nostra così perfetta civiltà, dove c'è libertà di voto, pensiero e parola, non c'è nessuno che dissenta e che si opponga a tutto questo?





2 commenti:

  1. articolo fantastico ma...
    siamo mosche bianche noi che la pensiamo cosi, quando affronto tali argomenti la gente mi prende per pazzo...

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  2. Grazie dei complimenti. Forse dobbiamo sperare entrambi di essere pazzi e di sbagliarci, perché se la realtà è come la (intra)vediamo noi, c'è di che preoccuparsi...

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