giovedì 1 novembre 2012

DEMOCRAZIA, CONSENSO ED ELEZIONI p.te 2°

Ancora una volta, l’intervento di Barreto si dimostra tanto stimolante da indurmi a pubblicare un nuovo post, e per questo lo ringrazio da subito. Sgombero subito il campo: il mio post era dettato dalla rabbia, perché sentito tirato in ballo dalla presunzione di Serra di negare a chi non vota il diritto di parola. Non era, il mio, un invito al non voto: non sono un vate né un funzionario di partito, per cui non ho alcuna pretesa di influire sulle scelte elettorali di chi frequenta questo blog.
Siamo d’accordo nel ritenere il sistema attuale basato, esattamente come i tanto vituperati totalitarismi del XX secolo, su due fattori: la necessità di mantenere il consenso da un lato, il controllo e l’assorbimento del dissenso (che come abbiamo visto in passato, alle volte può essere addirittura fabbricato ad arte) dall’altro.
Personalmente, ritengo che questa dinamica sia una prerogativa della società di massa, e che i vari regimi politici che si sono affermati da quando le masse hanno fatto la loro “irruzione nella storia” si differenzino essenzialmente per il grado di efficacia con il quale hanno saputo gestire il dissenso, incanalandolo, assorbendolo e infine neutralizzandolo.
La nostra è l’era delle diversioni strategiche, cioè della creazione, da parte dei governi e dei loro apparati, di gruppi di opposizione artificiali, al doppio fine di schedare e controllare i propri nemici e fare in modo che la loro attività politica venga indirizzata in modo che sia innocua per il potere.
All’indomani della Rivoluzione d’Ottobre, la Ceka fu la prima ad adottare questa strategia, creando ad arte gruppi antisovietici ed utilizzandoli come la carta moschicida. Durante la II guerra mondiale, l’esempio venne ripreso da tutti i contendenti (anche la Repubblica sociale organizzò delle finte formazioni partigiane che gli Alleati, caduti nella trappola, rifornirono di armi e viveri).
Nell’era della guerra fredda le diversioni strategiche non si contano più, basti pensare al nostro neofascismo, a decine di gruppi maoisti e marxisti leninisti attivi negli anni Settanta, anche incalliti (come Lotta Continua) o apertamente terroristi (Prima Linea). In epoche più recenti troviamo delle pesanti ombre in fette (a dire il vero piuttosto ampie) del movimento No Global, di quello pacifista o in anarchici come la Fai, in Occupy e indignati vari.
“Diversione strategica” è il termine tecnico che sta a designare l’operazione di “fabbricazione del dissenso”. Assieme all’infiltrazione è lo strumento principale tramite il quale il sistema ingloba le opposizioni, sintetizzandole al suo interno e rafforzandosi di conseguenza.

LA POLITICA DELLE ARMI
Quando Barreto afferma che “seguendo la logica del discorso si arriva inevitabilmente a giustificare le azioni violente contro il sistema”, coglie un aspetto fondamentale, perché il rischio che si corre è esattamente questo. La mia decisione di aprire un blog fu presa proprio perché, dopo gli scontri a Roma di un anno fa, mi capitava sempre più spesso di sentire o leggere le opinioni di chi sosteneva che lanciando qualche sanpietrino in più si sarebbe potuto cambiare il mondo.
Bisogna invece essere consapevoli che qualsiasi utopia insurrezionale, così come ogni velleità di lotta armata è destinata - nell’Occidente del XXI secolo - a rafforzare chi detiene il potere. In altre epoche le guerriglie hanno riportato delle vittorie, e magari in altre latitudini lo potranno fare ancora oggi.
Da noi, adottare soluzioni di questo tipo significherebbe fare un regalo enorme al potere dominante.
Non è, la mia, di una presa di posizione aprioristica contro la violenza (demenziale tanto quanto una a suo favore); faccio tuttavia tesoro della lezione che la nostra storia più recente ci ha fornito. Oggi sappiamo infatti che sul piano militare non esiste alcun tipo di azione - proveniente dalla società civile - che possa minimamente pensare di scalfire il sistema. Pensiamo alle Br e alla loro spaventosa potenza di fuoco: si sono mai lontanamente avvicinati alla presa del potere? Evidentemente no, perché lo Stato non ha mai vacillato, tantomeno quando i brigatisti hanno messo a segno il colpo più importante, cioè il rapimento di Aldo Moro. E’ vero casomai il contrario.
Questo perché, da un punto di vista politico, l’opposizione violenta è quella che maggiormente legittima il regime agli occhi dell’opinione pubblica. Chi detiene il controllo degli organi di informazione avrà gioco facile a screditare, associandola alla violenza, ogni forma di dissenso e, quel che è anche peggio, potrà mettere in pratica la repressione senza rischiare un calo di consenso.
Addirittura è il sistema stesso che alle volte deve intervenire, per dare una coloritura violenta ad un movimento di opposizione in modo da poterlo più facilmente imbrigliare.

LE ARMI (SPUNTATE) DELLA POLITICA
A mio parere non c’è alcuno spazio per un’azione politica anti-sistemica, tantomeno violenta, e vedo i gruppi di reale dissenso, che comunque esistono, inevitabilmente destinati ad entrare nella dinamica diversione-infiltrazione qualora venissero percepiti come un pericolo concreto. Il motivo risiede essenzialmente nel livello tecnologico del nostro sistema, che porta il concetto di Panopticon di Bentham ai livelli più elevati (pensiamo solo ai social network, eccezionali strumenti di consenso, in grado allo stesso tempo di fungere da termometro del dissenso).
In una società di massa si presuppone che il cambiamento possa venire solo dalla massa. Io al contrario  ritengo che la costante della storia sia la dimensione estremamente ristretta dei gruppi realmente detentori del potere. La presenza delle masse nella storia degli ultimi due secoli non si spiega a mio parere come un loro risveglio, un loro essere divenute “agenti” del processo politico, nemmeno nei momenti – come le rivoluzioni – in cui si dice che avrebbero ricoperto il ruolo di protagoniste. Le vedo al contrario come il campo di battaglia sul quale le élite si scontrano e si contendono il potere.
Detta in altri termini, il dominio di un determinato gruppo di potere piuttosto che di un altro si basa sulla sua capacità di convogliare le masse e indirizzarle verso i propri fini.
Questo non significa che ci sia una forma di potere immutabile ed eterna, che tutto vede e tutto governa. Anzi, percepisco il potere come un equilibrio, sempre momentaneo (e nella storia i momenti possono durare anche dei secoli) di centri di potere che si aggregano, disgregano, nascono, periscono, si fondono tra loro.
Il cambiamento è possibile, anzi è naturale e per certi versi continuo, ma può provenire solo da delle metamorfosi interne alle élite e allo sconvolgimento dei loro equilibri. E’ lì, a mio parere, la dinamo che muove la società e la storia, non nelle masse: loro sono le gambe che pedalano.
Il nostro votare o non votare è assolutamente ininfluente, perché nel caso specifico italiano solo un rivolgimento epocale può apportare un cambiamento radicale del sistema politico e un avvicendamento tra i detentori del potere. Fino ad ora da noi solo le guerre sono riuscite a farlo, non noi uomini-massa. Noi siamo solo riusciti a morire, in queste guerre.
Si può obiettare che questa mia presa di posizione sia da “paraculo”, perché riconoscendo l’impossibilità di azione politica giustifico il mio non far nulla perché le cose cambino. Mi si può rimproverare, cioè, di parlare tanto ma di non proporre nulla di concreto. Capisco e accolgo l’obiezione.
Ma mi rendo conto che in altri tempi sarei stato accusato, per via del mio pessimismo, di essere nemico del popolo e questo mi rincuora, perché mi fa pensare a quanto scriveva Pasolini nelle lettere luterane: “è meglio essere nemici del popolo che della realtà”.
Per come lo concepisco io, l’impegno politico è sinonimo di spirito critico. E’ attenzione verso la società e i suoi sviluppi, analisi del potere al fine di comprenderne natura e dinamiche. Prima di tutto, o forse anche solamente, per non restarne fregato.
Ritengo quindi la validità di una proposta in base alla sua capacità di interpretazione della realtà esistente, prerogativa essenziale per poter proporre credibilmente un sistema alternativo.
Oggi di proposte serie, anzi, di proposte realmente alternative, non ne vedo. Perché non ci sono movimenti, partiti o quotidiani che interpretino la realtà per quella che a me sembra, nella sua complessità.

CHE FARE?
L’ho già scritto: il sistema attuale mi appare come un nemico di quello che concepisco come società. Non votando mi sento un po’ meno complice e attuò così l’unica forma di boicottaggio che ho a disposizione (non fraintendetemi, e soprattutto non associatemi a quanti pensano di poter cambiare le cose con le varie campagne di boicottaggio o con il commercio equo e solidale). Sono consapevole di non avere armi con le quali possa sperare di scalfire il sistema. La mia unica arma è quella della discussione, della comprensione, del confronto con gli altri, del capire e magari di mettere gli altri nella condizione di guardare alle cose da un altro punto di vista.
Se siamo destinati ad essere dei pesi morti della Storia, come sinceramente temo, sarà lei a deciderlo. Possiamo però scegliere se passare questo nostro soggiorno sul pianeta Terra trangugiando passivamente quanto ci viene propinato, adeguandoci alla realtà, rinunciando a comprenderla o peggio ancora essendone partecipi attivi e consapevoli.
Quanta gente parla quotidianamente di solidarietà, diritti, progresso, ecc. ma poi contribuisce con i suoi comportamenti a rendere ancora peggiore il posto in cui vive? Come per i cattolici esiste la confessione, con la quale ci si lavano via i peccati, per loro esiste il voto, la militanza o la tessera di partito: metti la crocetta, parla male di Berlusconi al bar o indignati di fronte all’ennesimo scandalo finanziario e la tua anima sarà salva. Se chi hai votato si mette a bombardare un Paese straniero o fa affari con la mafia, avrai modo di accusare gli altri di essere guerrafondai e mafiosi, perché tu “sei un’altra cosa”. Potrai sentirti tradito, ma mai complice: complici sono quelli che votano dall’altra parte, complici sono quelli che non votano, complici sono quelli che non scendono in piazza, ecc., mai tu.
Perché tu credi nella democrazia, nel progresso e nello sviluppo, che sono sempre, guarda caso, ostacolati da qualche mostro cattivo che è in ogni caso presente e attivo con le sue malefiche trame, anche quando governano i lestofanti in cui ti riconosci e che hai votato.
E’ impressionante come nella nostra democrazia questo discorso valga per chiunque si riconosca in una forza politica: negli ultimi anni in Italia hanno governato tutti, destra e sinistra, e a loro dire tutti hanno avuto le mani legate perché il nemico impediva loro di governare (i sindacati, i comunisti, i giudici per Berlusconi, la Chiesa, le Tv di Berlusconi, Berlusconi stesso per il centro sinistra). A sentirli, sembra che nessuno abbia fatto guerre, affari con le mafie, distrutto scuola, sanità, diritti dei lavoratori, ferrovie, cultura e tutto il resto che hanno annientato. Non c’è un solo responsabile tra chi ha governato, figuriamoci tra i votanti.

UN ESEMPIO CONCRETO
La Repubblica, per la quale Serra scrive, incarna alla perfezione la capacità di accusare gli altri di non essere moralmente puliti, in modo da autoassolvere la propria parte politica dalle sue colpe. Fino ad un anno fa, faceva campagne come le dieci domande a Berlusconi in merito alle sue inchieste e alle sue mignotte, denunciava il suo tentativo di colpire l’editoria urlando al regime, sbandierava il suo desiderio a che venissero rese pubbliche tutte le intercettazioni telefoniche (ricordate l’incredibile campagna “io voglio essere intercettato?”)
Oggi cosa fa? Monti chiude settanta giornali e Repubblica non alza un dito. Scalfari ci spiega che la trattativa con la mafia, qualora ci sia stata, è da considerarsi un atto politico, se non avveduto almeno inevitabile. Guai a chi pensa di intercettare Napolitano, che deve godere di immunità telefonica assoluta. La polizia di Maroni in Val di Susa era “brutale”, quella della Cancellieri si batte eroicamente contro i nuovi “terroristi”. Oggi che il giornale è al governo, l’indignazione, stimolata ai tempi del Berlusca, è diventata deprecabile tanto che Serra le vuole negare il diritto alla non- espressione. Potrei continuare all’infinito.
Ogni presa di posizione, apparentemente etica e di principio, si rivela invece una scelta opportunista dettata dal tornaconto del momento (ovvero del consenso, perché in democrazia i giornali sono come i partiti di governo: devono vendere).
Le mie prese di posizione, magari errate, non sono invece mai state dettate da logiche di questo tipo. Sono libero di rimanere coerente con il mio modo di vedere le cose, rielaborandolo continuamente, arricchendolo, magari modificandolo, perché possono cambiare le percezioni che si hanno sui fatti e sulle persone, ma non la posizione etica con la quale li si guarda. Questa non cambia a seconda del governo che è in carica.
La Repubblica, come ogni giornale o partito di questo povero Paese, fa il contrario: usa la morale come una gomma da masticare, plasmandola a suo piacimento per giustificare anche le scelte politiche più aberranti e ingiustificabili.
A mio parere restare coerenti con sé stessi è l’unico modo per sentirsi liberi e per guardarsi senza timore allo specchio. Se votassi, mi comporterei come se avessi fiducia in questo sistema o, ancora peggio, in una delle associazioni delinquenziali che lo compongono e mentirei così a me stesso.
E’ una posizione dettata dalla mia sensibilità personale, non da una concezione politica alla quale non è possibile al momento dare una forma. Non mi reputo colpevole per questo: lo sarei se rinunciassi a pensare e ad essere critico. In tal caso, potrei espiare le mie colpe, molto religiosamente, tramite il voto. Ma è una prassi nella quale non mi riconosco.


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