Dopo la lezione della Piazza Rossa di
Mosca, sulla quale il potere sovietico mostrava al mondo la sua
potenza sfoggiando i propri arsenali militari, ci eravamo convinti di
sapere tutto sulle tecniche di esibizione muscolare adottate dai
regimi autoritari. Allo scadere dei cento giorni dall'instaurazione
del governo Monti piove tuttavia un macigno sulle nostre certezze,
poiché il nostro sistema politico, seppur così diverso da quello
sovietico, ci insegna che per ottenere lo stesso risultato non serve
scomodare i missili balistici in quanto, presentati a dovere, i soli
volti grigi dei vertici del PCUS - quelli che apparivano imbalsamati
nei loro cappottoni sul balcone dei musoleo di Lenin - avrebbero
potuto essere più che sufficienti. Lo zelante burocrate nostrano
sarebbe stato benissimo o al posto di Cernenko e Andropov ma, a
differenza loro, per avere un paese interamente intruppato ai suoi
piedi non ha bisogno di farsi ritrarre di fronte ai T72 o alle
batterie di Katyusha.
I telegiornali degli ultimi tre giorni
hanno infatti snocciolato una serie di cifre che non fanno altro che
esaltare i gloriosi successi raggiunti dal governo nei primi cento
giorni di dittatura. Uso questo termine perché seriamente convinto
che di questo si tratti. Il sistema politico oggi in vigore nel
nostro paese ha a mio parere i connotati del più subdolo, ma allo
stesso tempo ferreo, intransigente e totalitario regime che l’Italia
abbia mai conosciuto. Non scrivo una cosa del genere a cuor leggero,
tanto per fare, e so che affermazioni del genere vanno sostenute con
argomentazioni che devono essere corpose e non mi sottrarrò dal
farlo.
Sgombero subito il campo dagli
equivoci: non sto parlando di “democrazia in pericolo”,
“emergenza democratica” o analoghi piagnistei. Sono espressioni
che odio. Per il sottoscritto un sistema democratico non è mai
esistito e, come i maiali che volano, mai esisterà a meno di un
giramento di palle di Madre Natura. Di conseguenza non sono stupito
né indignato dal fatto che oggi in Italia ci sia un governo non
democratico; non posso tuttavia fare a meno di constatare che di
fronte al potere di quella che definisco “l’usura di stato”, la
telecrazia berlusconiana impallidisca miseramente.
Stavamo parlando dei mass media. I
canali di proprietà del Cavaliere [del lavoro (altrui)], la tv di
stato, per non parlare dell’outsider LA7, fanno da 100 giorni a
gara nel prostrarsi di fronte al “governo dei professori”,
elogiandone il rigore, l’equità, la sobrietà. E oggi, con grande
puntualità, hanno unito le loro voci in un sol coro. Le varie
Berlinguer, Gabanelli, Mentana e con loro tutti quelli che fino a
ieri erano i paladini della libera informazione, si sono trasformati
in zelanti Bruno Vespa, mentre i Vespa e i Fede sono rimasti Vespa e
Fede. La Repubblica sembra ormai la Pravda dei tempi che furono, e il
Corriere della Sera si mantiene sui suoi standard di giornale
portavoce del regime e della Nato. Liberazione per fortuna è
sparito, il Di Pietro Quotidiano oscilla tra grillismo esasperato (a
proposito, Grillo non è ministro solo perché non ha studiato alla
Bocconi) e il travaglismo, non meno deleterio. Libero e il Giornale
urlano contro non si sa chi, La Padania piange per la chiusura dei
ministeri al nord e tuona contro non ben definiti “i poteri forti”.
Insomma, vi invito a segnalarmi una voce di opposizione, o per lo
meno critica, nelle TV, nei giornali e nel parlamento in questo
momento.
Tutti i principali esponenti politici,
da Berlusconi a Bersani, da Fini a Casini, da Di Pietro a Platinet,
hanno firmato un assegno in bianco e lo hanno consegnato
all’occhialuto economista e alla sua banda di burocrati. Pdl e Pd,
per non parlare del terzo polo, dopo vent’anni di guerra civile
virtuale (in cui hanno insegnato agli italiani a concepire la
politica come un derby calcistico) si sono resi conto di non essere
così nemici e hanno scoperto che, proprio perché litigarello, il
loro era vero amore. La Lega Nord e Vendola sono gli unici a giocare
a fare gli oppositori, per ovvi motivi elettorali: nel primo caso con
becera arroganza, nel secondo con uno pseudo-intellettualismo
altrettanto irritante. Discorso analogo per i vari Grillo e Ferrero,
veri e propri artisti nel coniugare demagogia, ottusaggine e
ingiustificati complessi di superiorità.
Stiamo dunque parlando di un paese in
cui presidente del consiglio e ministri sono stati nominati e non
eletti, dove i mezzi di informazione sono utilizzati come strumento
di propaganda - Goebbels se li sognava 900 canali televisivi che
dicessero tutti la stessa cosa -, dove i partiti non esprimono
pluralità di visioni politiche ma unità di intenti nel preservare
privilegi e posizioni di potere nelle amministrazioni, con la
conseguenza che non esiste alcun tipo di opposizione parlamentare
mentre, dall’altro lato, permane una classe burocratica e
parassitaria che deve le proprie fortune al sistema che l’ha
generata, in spudorata contraddizione con la tanto decantata
meritocrazia. Questa è la situazione dell’Italia di oggi, per
molti versi analoga a quella fascista di ottant’anni fa, la quale -
e non sapete quanto mi pesi riconoscerlo - sotto molti punti di vista
era più dignitosa. Durante il fascismo infatti il dibattito politico
e culturale, almeno fino ai primi anni Trenta, era molto più intenso
e qualitativamente superiore. Oggi non troverete tra Gad Lerner,
Paolo Mieli, Sofri, Ferrara e Giannino, la varietà di posizioni che
esprimevano pensatori come Gentile, Evola, Spirito, Bottai. E il
dibattito riguardava ogni aspetto della vita politica e sociale:
l’educazione (abbiamo mai avuto in settant’anni di democrazia un
ministro dell’istruzione lontanamente paragonabile a Gentile? O
forse preferite la Moratti e De Mauro?), l’idea di nazione, la
religione, il rapporto tra Stato e Chiesa, la politica industriale e
agricola e così via. Poi, esattamente come in democrazia, erano
ovviamente i rapporti di forza a stabilire la vittoria di una
corrente sull’altra, senza però mettere in scena quella patetica
manfrina che presenta un regime che ha la pretesa di spacciarsi per
“pluralista”. La nostra situazione è invece simile a quella dei
tardi anni del regime, quanto ormai il dibattito si era ridotto al
culto del duce e al suo corollario di parrocchie e caserme, e la
politica agricola ed industriale erano completamente in mano alla
grande borghesia nazionale (per quanto un governo imposto a tutela
dei potentati finanziari internazionali sia ancor meno dignitoso). Il
potere attuale si presenta ben consolidato, come lo era nell’Italia
del 1936, ma anche nella Russia o nella Germania di fine decennio
(quando le idee di personaggi come Bucharin, Kirov e Zinovev da una
parte e Niekitsch, i fratelli Strasser e Rohm dall’altra, erano
ormai neutralizzate). Sono convinto, senza poterlo però provare, che
tra gli stessi ayatollah iraniani ci sia più varietà di vedute
sulla politica e sul mondo (Corano compreso) che tra i ministri e i
parlamentari italiani. A noi mancano, è vero, le divise militari, i
volti truci, le adunate oceaniche. Ma è solo una questione di stile.
Come allora ci viene inoltre raccontato
che siamo in pericolo, sotto l’attacco congiunto di nemici interni
ed esterni che si annidano ovunque e che ci faranno precipitare nel
caos, se il governo non avrà la possibilità di affrontare
l’emergenza con mezzi straordinari. Di fronte all’eccezionalità
della situazione, pare ovvio che ogni dibattito va rimandato a tempi
migliori e ogni posizione critica, laddove esistente, emarginata. Per
il momento dobbiamo solo fare il tifo per il governo ed elogiarne i
successi. Esattamente come in Germania si lodava Hitler, difensore
del popolo tedesco dalla cospirazione giudaica, o come a Mosca si
ringraziava il compagno Stalin per aver scovato e punito “i
sabotatori”, oggi siamo tutti uniti attorno ai professori. So che
queste parole faranno inorridire molti di voi, perché già la
maestra dell’asilo ve lo diceva che per fortuna noi viviamo in una
democrazia, perché in dittatura tutto è brutto e piove sempre
mentre da noi si può andare liberamente al cinema e c’è sempre il
sole. La corposa setta dei democratici, quelli che ogni mattina
recitano la preghierina che dice “la peggior democrazia è meglio
della miglior dittatura”, riterranno quanto da me affermato
offensivo quanto l’incendio del Corano per un talebano.
Quando parlo con quanti credono nel dio
della democrazia, mi sento sempre dire che dico falsità perché in
Italia non ci sono gulag, né confino, né desaparecidos e che se io
posso blaterare liberamente su questo blog vuol dire che c’è una
libertà di espressione che in dittatura mi sognerei. Tutto ciò è
vero, ma non contraddice quanto da me sostenuto, perchè non è il
grado di violenza esercitata dallo stato a stabilire quando un regime
è autoritario o non lo è. Il grado di violenza che un regime può
esercitare è connaturato alla sua capacità di controllo della
società, capacità che a sua volta è strettamente legata al grado
tecnologico di cui il potere è in possesso. Oggi olio di ricino e
bastonate non sono necessari per più motivi. Il primo risiede nel
fatto che la fase repressiva del sistema si manifesta prima,
attraverso gli strumenti del controllo, che permettono un intervento
tempestivo solo qualora l’individuo in questione rappresenti un
serio pericolo per l’ordine stabilito. Codici vari, telecamere
anche in cima ai monti, cellulari, social network: possiamo elaborare
un dossier di cento pagine su qualsiasi cittadino italiano in men che
non si dica. Se poi questo si è in qualche modo esposto, sarà
ancora più facile tenerlo controllato e agire di conseguenza. Il
secondo motivo che rende obsoleta la repressione classica sta nel
fatto che, dato il possesso di questo potenziale tecnologico da parte
di chi comanda, la libertà d’espressione è oggi molto più
conveniente ed efficace che la censura. Il cittadino di oggi vive
nella convinzione di poter cambiare il mondo e la politica perché è
libero di esprimere una propria opinione, attraverso il voto, la
partecipazione ad una manifestazione o ad una iniziativa. Nella
maggior parte dei casi non sa che: se le sue opinioni sono innocue
per il potere, avrà tutto lo spazio di cui necessita; se le sue
opinioni sono in qualche modo scomode ma non pericolose, verrà
lasciato a svuotare l’oceano con un secchio; se le sue opinioni o
azioni risulteranno effettivamente pericolose per l'ordine politico -
non pubblico, sia chiaro - la sua attività verrà immediatamente
stroncata.
Da questo punto di vista il sistema
attuale ha una grandissima capacità di appaltare l'aspetto più
sgradevole, quello dell'eliminazione fisica degli oppositori e dei
pericoli. Settant'anni di storia repubblicana hanno visto morire
centinaia di individui che erano delle vere e proprie mine vaganti:
giudici (Occorsio, Amato, Alessandrini, Falcone, Borsellino solo per
citarne alcuni), testimoni di processi (pensiamo agli anni delle
stragi e a quanti sono stati uccisi perché non parlassero: caduti
dalle scale, “suicidi”, uccisi in carcere, alla guida di aerei
sabotati – Ramstein vi dice nulla?) esponenti politici (Da Moro a
Fortugno) giornalisti (Ilaria Alpi, Siani, De Mauro e chi più ne ha
più ne metta). Le esecuzioni apertamente rivendicate dallo stato
sono state tuttavia pochissime, e quasi esclusivamente limitate ad
episodi di violenze di piazza. Per il resto il lavoro sporco lo hanno
sempre fatto altri: mafiosi, n'dranghetisti, camorristi, brigatisti,
neofascisti, la banda della Magliana, briganti vari. Tutti elementi
cioè apparentemente nemici dello stato, che si sono presi la briga
di salvare la faccia a quest'ultimo, uccidendo quanti avrebbero
potuto palare dei rapporti tra il regime politico e le loro stesse
organizzazioni. Veramente non ci avete mai pensato?
Il volto benevolo dello “stato di
diritto” ha ovviamente anche altri mezzi per annientare i propri
nemici. Sto parlando della magistratura, quella che lavora
costantemente per prescrivere, salvare, amnistiare esponenti della
classe politica, da Andreotti a Berlusconi, mentre non esita ad
affibbiare il carcere preventivo agli oppositori, anche ai semplici
manifestanti (vedi Val Susa), in attesa del processo. La democrazia,
secondo i criteri degli illuministi francesi, dovrebbe presentare una
netta distinzioni dei poteri, in modo che ci possa essere equilibrio
e la sfera politica non possa esercitare controllo su apparati
giuridici e polizieschi. Vi reputo delle persone intelligenti, per
cui vi risparmio infiniti e scontati esempi che dimostrano la stretta
dipendenza della magistratura, della polizia, dell'esercito, della
finanza e dell'arma dei carabinieri dal potere politico italiano nel
nostro dopoguerra.
Mi sembra di aver argomentato
abbastanza, e spero che tra tutti coloro che hanno abbracciato
l'arrivo di Monti come una liberazione dalla dittatura berlusconiana
e un ritorno alla democrazia, almeno qualcuno cominci a porsi qualche
dubbio sul paese in cui viviamo. Presto pubblicherò un post più
dettagliato sulla situazione politico-economica attuale.
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