Nel precedente post sono stati citati, qua e là, alcuni
istituti e organizzazioni - governativi e non - statunitensi, in merito al loro
rapporto con le cosiddette “rivoluzioni colorate”. Ho ritenuto che fosse il
caso di approfondire adeguatamente questo aspetto in un nuovo post, nel quale
mi pongo l’obiettivo di mettere un po’ di ordine tra le varie sigle già
nominate, evidenziarne altre e far luce su alcuni personaggi particolarmente
significativi.
Questa volta tuttavia la mia attenzione non si concentrerà
sui movimenti rivoluzionari o pseudo-tali diffusi in giro per il mondo, ma su
quegli organismi che tramite il pluricitato CANVAS (ma non solo) forniscono
appoggio finanziario alle varie rivolte. Sulla rete si può reperire un’enorme
quantità di materiale che testimonia il legame tra CANVAS e numerosi movimenti
protagonisti delle “rivoluzioni colorate” e della “primavera araba”, e ci sono
elementi sufficienti (anche solo nei link da me forniti al lettore) per attribuire
a quest’organizzazione un ruolo di coordinamento. Ma se le rivoluzioni portano
a CANVAS, CANVAS dove porta?
Ad una superficiale ricerca in rete ci si imbatte
subito negli immancabili complottisti, che tirano in causa la CIA, il 2012,
la massoneria, uomini-serpente, le piramidi, gli UFO, il Diavolo.
Come al solito, non fanno altro che gettare fango su chiunque assuma un
approccio critico verso i mass media. Ormai anche gli storici e analisti che
cercano con capacità e professionalità di far luce sugli aspetti più oscuri
della storia e della società, vengono accomunati ai vari Icke, Sitchin, Grillo
e Giacobbo di turno, con grande sollievo per i “poteri occulti”.
Ma torniamo alla ricerca documentaria su internet. Per
rispondere alla domanda precedente, siamo costretti a seguire una procedura
metodologica degna di tal nome, per cui dovremo basare i nostri ragionamenti
sulle uniche fonti attendibili che, in questo caso, sono quelle ufficiali. Non
tireremo in ballo delle medium o misteriosi testimoni anonimi, ma ci rifaremo
in larga parte alla ricostruzione dei - più o meno consistenti - flussi
finanziari. Ci imbatteremo così nelle “501(c) organizations”.
CHE COS’è UN’ORAGANIZZAZIONE 501(c)?
Secondo la legge del governo federale degli Stati Uniti, la
dicitura 501(c) indica
un’organizzazione o corporazione, esentata dalle tasse, che non si pone fini di
lucro. A seconda degli obiettivi e dello statuto adottato, tali
organizzazioni vengono a loro volta classificate in 28 categorie, motivo per
cui rientrano in questo status giuridico associazioni ricreative, religiose, di
industriali, di agricoltori, di veterani, di beneficenza. A noi interessano
particolarmente due tipi di organismi, i think
thank e le associazioni umanitarie, da noi comunemente chiamate ONG.
Il termine “think tank” (traducibile come “serbatoio”, ma
anche “carro armato” del pensiero) sta ad indicare una realtà molto diffusa
negli Stati Uniti. I think tank sono organismi composti da privati, alle volte
vicini ad un partito, altre totalmente apartitici, che si impegnano ad
elaborare analisi e studi riguardanti vari aspetti della politica del proprio
paese, dalle questioni economiche e sociali, alle valutazioni sulla politica
estera o di carattere militare. Ma non c’è modo migliore per capire di cosa
stiamo parlando, se non prendendo in considerazione qualche caso specifico.
Brookings
Institution (http://www.brookings.edu/). Nata nel 1916 come
Institute for Government Research, l’associazione si pone i seguenti obiettivi:
rafforzare la democrazia americana, migliorare le condizioni di vita e la
sicurezza dei cittadini statunitensi, contribuire ad affermare un prospero,
sicuro e più aperto sistema di libero mercato su scala internazionale. Propensa
a prendere apertamente posizione nel dibattito politico degli Stati Uniti, la
Brookings ottenne, nel corso della sua storia, finanziamenti da grandi
industriali come Ford o Rockefeller, ma anche direttamente dalla Casa Bianca: durante
gli anni della Grande Recessione il presidente Roosevelt stanziò dei fondi per
ottenere dall’associazione delle analisi della situazione economica, che
individuassero le cause della crisi e le sue possibili vie d’uscita.
The Heritage
Foundation (http://www.heritage.org/). Di indole dichiaratamente
conservatrice, questo think tank si propone di formulare e promuovere
“politiche pubbliche conservatrici basate sui principi di libera impresa,
governo limitato, libertà individuale, valori tradizionali americani e una
forte difesa nazionale.” Nata nel 1973 e molto influente negli anni della
presidenza di Reagan, Bush Sr. e Clinton, l’associazione è considerata, tra le
altre cose, l’ideatrice dell’operazione “Destert storm”. Molti gli associati
celebri: l’ex governatore provvisorio in Iraq Paul Bremer, l’ex consigliere
personale del presidente ai tempi di Reagan, Richard Allen, ex esponenti
politici e militari come Elaine Chao, Lawrence di Rita, John Lehman, Edwin
Meese.
American
Enterprise Institute (http://www.aei.org/). Lobby affaristica neocon, nata nel
1943 e specializzata in studi politici, economici, sociali e strategici. Non
prende apertamente posizioni politiche, ma nella sua rosa può vantare personaggi
come Paul Wolfovitz, Richard Perle, o John Bolton (ex rappresentante permanente
degli USA alle Nazioni Unite).
Center for
American Progress (http://www.americanprogress.org/). Rappresenta la risposta
dei “liberal” all’aggressività delle associazioni neocon. Vuole migliorare la
vita degli americani attraverso politiche progressiste e rispettose
dell’ambiente; il fondatore, John Podesta, è stato segretario di stato ai tempi
dell’amministrazione Clinton. Secondo il New York Times, l' influenza della CAP sull’attuale amministrazione Obama sarebbe paragonabile solo a quella
esercitata dalla Heritage Foundation sui due mandati di Reagan negli anni ‘80.
Council of
Foreign Relations (http://www.cfr.org/). Nato nel 1921, il Council è una delle
associazioni più famose degli Stati Uniti. I suoi interessi sono rivolti
principalmente alla politica estera e agli affari internazionali; oltre a
curare il periodico Foreign Affairs, produce rapporti e analisi di cui dovranno
fare tesoro i futuri protagonisti della politica estera statunitense. Inizialmente
finanziato da Rockefeller, nel passato ha accolto tra le proprie fila figure
del calibro di Dwight Eisenhower e Allen Dulles (direttore della Cia dal 1953); oggi non
è da meno, perché tra i suoi 4500 membri possiamo trovare delle vere e proprie celebrità: da
Bill Clinton a Paul Wolfowitz, da Dick Cheney a Rupert Murdock,
da Brian Williams (presentatore della NBC) ad Alan Greenspan (a capo della
Federal Reserve per diciotto anni), dal premio Nobel per la pace Lu Xiaobo ad
Angelina Jolie. Per chi si volesse divertire a trovare amici e parenti, lascio
il link: http://www.cfr.org/about/membership/roster.html?letter=A.
I nomi che tuttavia ci interessano di più in questo momento sono quelli di
Geogre Soros e di Peter Akerman. Li ritroveremo più avanti.
Carnegie
Endowment For International Peace (http://carnegieendowment.org/). Altra organizzazione specializzata in
politica estera, finalizzata ad incrementare la cooperazione internazionale,
nonché il senso di responsabilità e l’impegno attivo degli Stati Uniti su scala
planetaria. Tra i suoi finanziatori troviamo importanti realtà economiche (oltre
all’immancabile Rockefeller Group, la Shell, la Ford, l’Exxonmobil, la BP), ma
anche enti governativi europei (i ministeri degli esteri francese, norvegese e
svedese) e americani (la DIA, il dipartimento di stato, quello della difesa,
quello dell’energia, il National Intelligence Council). Molto interessante, tra
i finanziatori compare di nuovo il nome di George Soros e la sua Open Society
Institute (abbiate pazienza, tra un po' ci arrivo!).
Hoover
Institution (http://www.hoover.org/). Think tank di studi
strategico-militari, è associata alla Stanford University,dalla quale dipende
dal punto di vista dei finanziamenti. Tra i membri, prevalentemente ufficiali
dell’esercito americano e docenti di accademie militari, troviamo anche qualche
volto noto come Condoleeza Rice.
Center for
Strategic and International Studies (http://csis.org/). Fondato nel 1962, dal 1987
questo organismo bipartitico è associato alla Georgetown University. Sostenuto
da finanziamenti privati e governativi, il Centro produce analisi strategiche
ed elabora soluzioni politiche bi-partisan per quanti dovranno prendere
decisioni nel governo, nelle istituzioni internazionali, nel settore privato e
nella società civile. Qualche nome: Edward Luttwak, Henry Kissinger, Madalene
Albright, Zbigniew Brzezinski.
PNAC - Project for a New American
Century (http://www.newamericancentury.org/index.html)
è forse il più aggressivo tra i recenti think tank neoconservatori. Si pone lo
scopo di rafforzare la leadership americana nel mondo, impegno che richiede
“forza militare, energia diplomatica e adesione ai principi morali”. Sorta nel
1997, la fondazione ricevette una discreta notorietà nell’ambiente della
controinformazione, perché nel suo manifesto programmatico del settembre 2000,
intitolato Rebuilding America’s Defenses,
gli autori fecero riferimento al possibile verificarsi di un evento traumatico sul
territorio americano, “una sorta di nuova Pearl Harbor”, (per chi fosse
interessato, la fase celebre si trova a pagina 51 del pdf reperibile qui: http://www.newamericancentury.org/RebuildingAmericasDefenses.pdf).
L’adesione di Jeb Bush, Donald Rumsfeldt, Dick Cheney, I. Lewis Libby e Paul
Wolfowitz (sempre lui....) al progetto sarebbe secondo molti una prova dell’implicazione di alcuni
esponenti dell’amministrazione Bush negli attentati dell’11 settembre. Al di là
di questo aspetto, comunque curioso, il
presidente e il capo del Pentagono apprezzarono ed adottarono alcune proposte
avanzate dal PNAC, come l’incremento sostanziale delle spese militari, l’investimento
nell’ammodernamento tecnologico dell’esercito, il ritiro di soldati
statunitensi dall’Europa in funzione di un ridispiegamento in altri scenari.
Questa sommaria rassegna di
alcuni tra i più importanti think tank statunitensi, per quanto sbrigativa, è
più che sufficiente per farci capire quanto vicine siano queste associazioni ai
centri di potere. Abbiamo citato banchieri, giornalisti, grandi industriali,
militari, senatori, ministri, presidenti degli Stati Uniti. L’autofinanziamento
dei soci, donazioni da privati e imprese, talvolta anche fondi ministeriali e
governativi, permettono alle varie associazioni di accumulare il capitale
necessario per sopravvivere e spesso prosperare (vedere i bilanci dei think
tank menzionati, pubblicati nei siti di cui ho fornito i link).
Ricapitolando, abbiamo quindi a
che fare con gruppi che presentano le seguenti caratteristiche:
-
Hanno stretti legami con le centrali del potere
politico (Congresso, Senato, Governo), finanziario, industriale, militare;
-
Si pongono, in linea di massima, l’obiettivo di
tutelare l’American way of life e
rafforzare la leadership degli USA nel mondo globale, attraverso due diverse
strategie: il predominio militare o la cooperazione economica;
-
Si tratta di fondazioni private, composte però
da numerosi personaggi pubblici e spesso finanziate direttamente dal governo
federale;
-
Le abbondanti disponibilità economiche le dotano
di ulteriore influenza e potere di pressione sulla politica.
In questi termini, sembra che io
stia parlando di organizzazioni terroristiche o di poteri “occulti”, “deviati”
ed “eversivi”. Ma non c’è nulla di tutto questo. Per i cittadini americani si
tratta di una cosa assolutamente normale, anzi far parte di un simile club
(data la loro esclusività) per il cittadino medio sarebbe un grande motivo di
orgoglio. La storia dell’associazionismo negli Stati Uniti non me la invento
certo io, per cui questa parentesi sui think tank non serviva a scoprire
l’acqua calda, bensì a ricordare al lettore che la politica interna ed estera
degli USA è dettata da dei rapporti di forza che generano costantemente nuovi
equilibri, in un sistema dominato da una pluralità dei centri di potere e da un
inestricabile intreccio di interessi pubblici e privati. Se non avessimo
percezione di questa dinamica del potere, degli Stati Uniti non avremmo capito
nulla, e dovremmo limitarci, come fanno i nostri giornalisti, a disquisire
sull’orto di Michelle Obama o sui dolcetti che suo marito ha distribuiti ai
bambini nella notte di Halloween.
COM’E’ UMANO LEI
Discorso a parte meritano altre
organizzazioni che rientrano nella categoria 501(c), le associazioni
umanitarie. Composte da volontari, a-partitiche, auto-finanziate, si impegnano
in vari aspetti del sociale, dal sostegno ai portatori di handicap alla
distribuzione di viveri nei Paesi colpiti dalle guerre. Io mi concentrerò
esclusivamente su quelle statunitensi (o a carattere globale ma con sede negli
USA), che si dedicano alla difesa dei principi democratici e dei diritti umani
nei Paesi in cui questi non vengono rispettati. Abbiamo tuttavia bisogno di
chiarire quali sono gli organismi governativi che finanziano e razionalizzano l’operato
delle associazioni umanitarie.
All’ USAID – United States Agency for International
Development (http://www.usaid.gov/) avevo già fatto riferimento. Fondata
nel 1961 per volontà del presidente Kennedy, L’USAID è un’agenzia federale
dipendente dal segretario di stato americano, che si pone l’obiettivo di
fornire sostegno ai civili vittime di catastrofi naturali e umanitarie. I suoi
obiettivi includono “l’assistenza economica, umanitaria e allo sviluppo nel
mondo in supporto agli obiettivi della politica estera statunitense”.
Anche la NED – National Endowment
for Democracy (http://www.ned.org/) è già stata
citata nel post precedente. Istituita su volontà del presidente Ronald Reagan e
ufficializzata da un atto del Congresso statunitense nel 1983, l’organizzazione
vive per la maggior parte di finanziamenti pubblici ma viene amministrata da
privati (Le sue fonti di sostentamento sono soprattutto USAID e Dipartimento di
Stato, tuttavia riceve delle quote anche da singoli cittadini, imprese, governi
stranieri). Il suo compito è la gestione dei fondi da dedicare “al
rafforzamento internazionale del sistema democratico, della libera stampa, dei
partiti”. La metà del capitale dato in gestione alla NED viene ripartita tra
quattro organismi, due composti da candidati repubblicani, due da canditati
democratici: la NDIIA – National Democratic Institute for International Affairs
(http://www.ndi.org/); l’ACILS – American Center
for International Labor Solidarity (http://www.solidaritycenter.org/);
il CIPE – Center for International Private Enterprise (http://www.cipe.org/); l’IRI – International Republican
Institute (http://www.iri.org/). L’altra metà
del capitale viene donato direttamente alle ong umanitarie non-proft. Si noti
come le quattro agenzie nominate, che si occupino di imprese private o diritti
dei lavoratori, si pongono lo stesso obiettivo: l’espansione a livello globale
della democrazia e del modello sociale statunitense.
Subito dopo, nel 1984, sorse con procedimento
analogo la USIP – United States Institute for Peace (http://www.usip.org/). A differenza della NED,
questa riceve esclusivamente fondi federali e si concentra sullo studio e l’analisi
delle situazioni di conflitto, al fine di prevenire o terminare i conflitti
violenti in giro per il mondo. Anch’essa
è suddivisa in quattro sezioni: Center for Conflict Analysis and Prevention (CAP), Center for Mediation
and Conflict Resolution (CMCR), Center for Post-Conflict Peace and Stability
Operations (PPSO), Centers of Innovation (COI).
Chiedo scusa al lettore per
averlo tediato con questa serie di sigle, la cui conoscenza tuttavia ci fa
capire che per gli Stati Uniti missione civilizzatrice e supremi interessi nazionali in massima parte coincidono. Da questo punto di vista i governi americani, sia democratici
che repubblicani, sono sempre stati concordi: il predominio degli Stati Uniti
nelle relazioni internazionali è garanzia di stabilità per l’intero pianeta, l’adozione
dell’american way of life da parte di
più paesi possibile è una questione che riguarda la sicurezza nazionale, la difesa
e il rafforzamento della democrazia e dei diritti umani nelle aree in cui
questi scarseggiano è un dovere di ogni amministrazione americana. Falchi o
colombe, con le bombe o i sorrisi, da Wilson ad Obama gli Stati Uniti ragionano
in questi termini e agiscono di conseguenza. L’impegno per lo sviluppo e per la
promozione di valori analoghi a quelli statunitensi sono strumenti di conquista
e di dominio imprescindibili, tanto quanto le forze armate.
DIRITTI UMANI E INTERESSI NAZIONALI
Dopo i think tank e le agenzie
governative, possiamo finalmente passare a parlare delle ong classiche. Partiamo da una
delle delle più vecchie e prestigiose associazioni di questo tipo: la Freedom
House (http://www.freedomhouse.org/template.cfm?page=1).
Nata nel 1941, al momento della fondazione ebbe come presidenti onorari Eleanor
Roosevelt e il candidato repubblicano alle presidenziali del 1940, Wendell
Willkie. Il suo scopo “è supportare l’espansione della libertà nel mondo”;
libertà che è possibile “solo in sistemi politici democratici”. Secondo il suo
sito, l’organizzazione sarebbe sorta dalla confluenza di due gruppi distinti,
su invito del presidente Roosevelt, per combattere le tendenze isolazioniste
dell’opinione pubblica americana e rafforzare il consenso popolare all’ingresso
degli USA nella II Guerra Mondiale. Nel dopoguerra, avrebbe rivolto le proprie attenzioni alle dittature comuniste, convinta che la diffusione degli ideali
democratici avrebbe rappresentato l’arma migliore per sconfiggere le ideologie totalitarie.
Secondo il proprio statuto, Freedom House si pone l’obiettivo di agire da
catalizzatore di libertà e democrazia, e la sua direzione è unita nel ritenere
che “la leadership statunitense negli affari internazionali sia essenziale per
la causa dei diritti umani e delle libertà”. Di conseguenza, affermazioni come “Freedom
House supporta i cambiamenti democratici” o “noi supportiamo iniziative civiche
nonviolente in Paesi in cui la libertà è negata” risultano un tantino sospette,
perché non serve essere troppo maliziosi per trovare un connotato politico nell’associazione
e ipotizzare una convergenza tra questa e gli interessi degli Stati Uniti in
politica estera. Questi sospetti sono destinati a rafforzarsi quando leggiamo
che tra i finanziatori della Freedom House ci sono l’USAID e il Dipartimento di
Stato, anche se tali finanziamenti avvengono in forma occasionale e non per contratto.
A capo del consiglio d’amministrazione
della F.H. è stato, dal 2005 al 2009, Peter Akerman. Assieme a quello di George Soros, ho fatto il il suo nome quando parlavo del Council of
Foreign Relations, di cui Akerman è membro del consiglio di amministrazione. Dal 2009 ha abbandonato la F.H. ed ha assunto la
direzione dell’ufficio americano dell’IISS – International Institut for
Strategic Studies (http://www.iiss.org/). Si
tratta di un think tank non governativo inglese ma dai connotati globali, che
si presenta con la seguente dicitura: “autorità guida sulla pubblica sicurezza: fatti, analisi,
influenza”. In base a quanto dichiarato dallo stesso organismo, l’IISS non riceve
finanziamenti dai governi se non in occasioni rare, come ad esempio quando
organizza conferenze e incontri tra ministri o ambasciatori (come al solito
sono caduto dalle nuvole: non sapevo che i governi pagassero degli enti privati perché questi organizzino meeting non ufficiali tra alte personalità della
politica internazionale...).
Questo Ackerman non è certamente un personaggio banale: è nella direzione di uno dei più prestigiosi think tank
statunitensi, è stato alla guida della più celebre associazione per i diritti
umani, ora dirige una sezione di un centro studi strategico-militari. Ma è
soprattutto un grande teorico: laureatosi alla Colgate, continuò gli studi
post-laurea in relazioni internazionali nella Fletcher School of Law and
Diplomacy e nel 1976 presentò una tesi dal titolo Strategic Aspects of Nonviolent Resistance Movements. Questa
passione per la rivoluzione non violenta spinse il poliedrico umanista-filantropo-stratega-lobbista
a fondare, nel 2002, l’ICNC – Institutional Center of NonViolent Conflict (http://www.nonviolent-conflict.org/).
Scopo di questa ong è creare una rete con analoghe associazioni che siano
interessate al conflitto non violento in modo da: educare l’opinione pubblica,
influenzare le politiche e la copertura mediatica, educare gli attivisti e gli
organizzatori. Unici finanziatori: Ackerman e famiglia. Ackerman è infine
(assieme all’ex candidato repubblicano alla Casa Bianca John McCain) membro
della Spirit of America (http://www.spiritofamerica.net/site/mission),
associazione che si pone lo scopo di fornire sostegno al personale civile e
militare degli Stati Uniti in Afghanistan, Iraq e Africa. Studi strategici, cooperazione con le forze armate, guerra psicologica, forme di conflitto...queste sono le espressioni in cui ci si imbatte quando si parla dell'umanitario Akerman. Mettereste la mano sul fuoco sulla neutralità della sua ICNC?
Il discorso su Akerman ci obbliga tuttavia a parlare anche del suo
maestro, il professore con il quale lavorò nella stesura della propria tesi. Mi
riferisco a Gene Sharp. Ormai piuttosto anziano (ha 83 anni) ma ancora molto attivo, laureato in filosofia
della politica, va considerato a tutti gli effetti il vero ideatore del metodo
non violento inteso come strumento di guerra strategica. I suoi testi, in
particolare The Politics of Nonviolent
Action del 1973, sono dei classici della disobbedienza civile. A lui si
deve l’individuazione dei 198 metodi di lotta non violenta che, se adottati
sapientemente, porterebbero all’abbattimento di qualsiasi dittatura. Un simile
studio non poteva restare solo sulla carta, così che nel 1983 gene Sharp diede
vita all’Albert Einstein Institution (http://www.aeinstein.org/),
in modo da poter diffondere e mettere in pratica le sue teorie. Hugo Chavez,
riprendendo uno scritto del giornalista francese Thierry Meyssan, ha apertamente
accusato l’istituto di essere uno strumento con cui gli Stati Uniti cercherebbero
di destabilizzare il Venezuela. Nella sua risposta, Gene Sharp (reperibile sul
sito nella sezione “news and press – response to the attacks on the media”) ha
escluso qualsiasi ruolo dell’AEI nei disordini in Venezuela e altrove, ma ha
dovuto riconoscere che negli anni Sessanta per la stesura del suo “Le politiche
dell’azione non violenta” ricevette alcuni finanziamenti dal Dipartimento della Difesa. Bisogna per correttezza affermare che ad esclusione del caso citato, nella biografia di Sharp non si trovano altri legami con apparati politici e militari. Almeno la mia ricerca in tal senso è stata infruttuosa.
Un terzo personaggio, spesso
citato in relazione ad Akerman e Sharp, è l'ungherese nazionalizzato americano George Soros. Ex membro del consiglio d’amministrazione
della Council on Foreign Relations, il nostro è il fondatore dell’Open Society
Foundations (http://www.soros.org/),
ennesima ong umanitaria che si propone di sconfiggere i tiranni cattivi e sostituirli
con le democrazie buone in tutto il mondo. Soros, una potenza economica vivente, ha
talmente tanti soldi da poter mantenere la propria fondazione e finanziare,
oltre al Council, i think tank conservatori
Heritage Foundation e Carnegie Endowment for International Peace, la Freedom
House e un’infinità di altri organismi.
Non stiamo parlando di uno stratega come Akerman ma neppure di uno qualunque: Soros è un magnate dell’industria, grande oppositore di Bush e sostenitore di Obama alle ultime elezioni, filosofo e filantropo. Fervente anticomunista, negli anni Ottanta finanziò Solidarnosc e altre emittenti e testate giornalistiche di opposizione nel blocco sovietico. Anche dopo il 1989, Soros ha mantenuto la passione umanitaria e l'affetto nei confronti dei cittadini dell'Europa orientale e balcanica, sfortunati perché costretti a vivere in democrazie non ancora mature. Esistono numerose illazioni sui rapporti tra lui, le sue fondazioni e i giovani rivoluzionari belgradesi anti-Milosevic. Rapporti che gli interessati hanno sempre negato, sebbene Soros tuttavia non abbia mai nascosto di aver fornito finanziamenti al canale televisivo B92, portavoce dell'opposizione negli anni di governo di "Slobo". D'altra parte, quando il magnate è stato accusato di aver fatto una sorta di golpe personale in occasione della rivoluzione georgiana, questi, con modestia, si è limitato ad affermare: "il mio ruolo è stato sopravvalutato". Ma su Soros ci sarebbero troppe cose da dire, e anche in questo caso internet è un'arma a doppio taglio. Non si può liquidare un personaggio di una simile complessità in così poche righe, per cui rinvio alla pagina http://www.resistenze.org/sito/os/mp/osmp4d11.htm.
Vorrei far
notare che assieme alle governative USIP e IRI, sia la Freedom House, sia l'Albert Einstein
Institute, sia la Humanity in Action (http://www.humanityinaction.org/about/9-mission. altra ong umanitaria il cui presidente è Hans Binnedijk, vice presidente della sezione ricerca
della National Defense University http://www.ndu.edu/)
compaiono tra i link del sito di CANVAS. Non sarà questa una prova certa di collaborazione attiva tra gli istituti, ma per lo meno un attestato di stima e affetto. L'assenza dell'ICNC può in un primo momento stupire, ma i conti tornano subito quando si viene a sapere che Peter Akerman e un altro esperto del conflitto non violento, Jack Duvall, sono stati i produttori esecutivi dei documentari A Force More Powerful e Bringing Down a Dictator; quest'ultimo dedicato alle giornate di Belgrado (http://www.aforcemorepowerful.org/. Vedi anche http://www.yorkzim.com/) e realizzato con la collaborazione di Marovic e altri protagonisti della stagione di Otpor. Diciamo che quando si fanno ricerche in questo campo, le personalità di Soros e Akerman hanno la straordinaria capacità di chiudere qualsiasi cerchio. E il cerchio CANVAS - Albert Einstein Institute - ICNC - Freedom House - USIP - NED - Governo USA - Pentagono è di una perfezione geometrica che sembra fatto col compasso.
CONCLUSIONI
Il business umanitario si presenta quindi articolato su due piani tra loro difficilmente districabili: quello governativo (USAID, NED...) e quello dei think tank. Più in basso, troviamo le varie ong, legate a vario titolo agli enti pubblici e privati, ma formalmente neutrali e indipendenti, le quali fungono da intermediari tra le gli istituti governativi o "parastatali" e i rivoluzionari locali.
Quando emergono con una simile chiarezza legami che uniscono industriali, think tank, enti governativi, strateghi militari, a tali associazioni "umanitarie", risulta difficile non vedere in queste degli strumenti della politica estera statunitense. Viene anche da pensare che certi "appelli", "denunce" e "richieste di intervento", avanzati dalle varie Human Rights Watch (a proposito, Soros è passato pure per di qua...), Freedom House e compagnia bella, possano non essere sempre spinte da motivi umanitari. D'altra parte quanti embraghi, no fly-zone o interventi militari sono stati invocati o applicati sulla base dei rapporti elaborati dalle "neutrali" associazioni per i diritti umani? E secondo voi, quale imparzialità possono avere organizzazioni legate a vario titolo con il governo degli Stati Uniti, nel momento in cui presentano le stime delle vittime dei vari conflitti, che si tratti dei bombardamenti NATO in Afghanistan, così come della repressione di Gheddafi o Assad?
Questo post è il risultato di una lavoro gratificante ma banalissimo. Non ho fatto alcuna scoperta, mi sono limitato a passare qualche pomeriggio nei siti degli organismi che ho trattato. Ho fornito tutti gli elementi per verificare di persona quanto da me affermato. Poiché non mi sono inventato nulla, ciò che ho scritto non può essere smentito. Capisco tuttavia che il lettore mi possa accusare di avere scritto delle ovvietà. In tal caso me ne scuso, e lo invito, qualora sia in possesso di ulteriori elementi sulle vicende trattate, a condividerle su questo blog. Perché qua si vuole parlare di politica, non di orti e dolcetti.
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