venerdì 15 febbraio 2013

DEDICATO A CHI SI CHIAMA FUORI

Ho sempre nutrito un accorato e sincero odio per le campagne elettorali, anche ai tempi in cui riponevo qualche fiducia nel sistema di cui le elezioni sono l'espressione più grottesca.
I barbari che hanno devastato questo Paese stanno, in questi giorni, cercando di convincervi della loro innocenza, e indicano come responsabile dell'attuale situazione il rivale di turno che siede loro di fronte negli studi televisivi. Allo stesso tempo, vi garantiscono di essere in possesso della bacchetta magica, che risolverà ogni problema, e vi ammoniscono: se votate gli altri, la profezia dei Maya si realizzerà e il globo terrestre verrà distrutto.

Abbiamo tutti, sotto i nostri occhi, lo spettacolo patetico di Casini e Fini che fingono di non aver mai avuto nulla a che fare con Berlusconi, di Bersani che si improvvisa nemico di Monti, di quest'ultimo che finge di essere contro tutti quando in realtà sa benissimo che chiunque vinca sarà suo alleato - o meglio, fedele esecutore - nel prossimo governo.
Non mi sembra quindi il caso di infierire su di voi, che già siete costretti a subire questa farsa che, con la solita arroganza, invade giornali, televisioni, vie cittadine. Né d'altra parte potrei io trovare in questa situazione gli stimoli per un nuovo post: da un lato ho troppo rispetto per questo blog e ci tengo a mantenere un livello qualitativo perlomeno decente, dall'altro ho già esposto con chiarezza le motivazioni per le quali non ho intenzione di partecipare a questo ballo mascherato.
Nelle ultime ore, numerosi stimoli provengono dall'inattesa abdicazione di Benedetto XVI, e mi potrei sbizzarrire sulle ipotesi più strampalate in merito ai giochi di potere interni al Vaticano.
Forse lo farò in futuro, ma per il momento è meglio attendere gli sviluppi, dato che la notizia è ancora troppo fresca.
Allora che scrivo a fare? Scrivo perché oggi vi voglio parlare di musica. O meglio, di un gruppo genovese, che risponde al nome di Ianva. Per descrivere la musica degli Ianva potrei dirvi che quest'ultima è influenzata dal neofolk, o da Morricone, o da De Andrè, così come potrei fare altri mille riferimenti ma sarei in ogni caso riduttivo, per cui mi astengo.
Mi preme piuttosto segnalarvi il loro ultimo album, “La mano di Gloria”, uscito già da qualche mese. Solo nelle ultime settimane sono tuttavia finalmente riuscito ad apprezzarlo fino in fondo e ad assimilarne le infinite sfaccettature, musicali, liriche e concettuali. Non si tratta infatti di un disco facile, ma di un'opera d'arte che dovrete affrontare con lo spirito di chi apre un testo di filosofia, una raccolta di poesie o si accinge a vedere un grande classico del cinema. E' insomma, un album da ascoltare in cuffia, facendo attenzione ai testi, agli arrangiamenti e al concetto generale.
Rinuncerò a fare una recensione dell'album, dato che su internet ne potrete trovare a decine, scritte da autori ben più competenti di me in materia musicale.
Mi limiterò a dirvi che l'album non sembra essere stato apprezzato come i precedenti, dato che in molti lo considerano prolisso, ridondante, ne criticano il concept, alcuni arrangiamenti e persino la registrazione.
Che volete che vi dica? Sono critiche che comprendo, e che, prima di “entrare” definitivamente nel disco, ho anche condiviso. Se oggi sono qui a parlarvene, tuttavia, è perché, ascolto dopo ascolto, questo capolavoro cresce, diventa sempre meno ermetico, sempre meno complesso, sempre più trascinante.
Anche “La mano di Gloria” è un concept, così come lo erano stati i precedenti “Disobbedisco!” e “Italia ultimo atto”. Il primo ricostruiva la vicenda, esaltante e allo stesso tempo tragica, di un reduce della Grande guerra arruolatosi nella legione dannunziana e partito alla volta di Fiume. Il secondo raccontava il nostro dopoguerra, in tredici tracce che ne narravano altrettante tappe, dall'8 settembre 1943 alla strage alla stazione di Bologna. Più prosaico e certamente meno romantico del primo disco, “Italia ultimo atto” è un lavoro indubbiamente ambizioso, ancora più del suo predecessore. “La mano di Gloria” alza ancora di più il tiro, dato che stiamo parlando di un concept ambientato nel futuro e basato sul romanzo, non ancora uscito, scritto dal cantante Mercy. Per questo motivo ogni canzone richiede, per essere adeguatamente compresa, la lettura preliminare delle note inserite nel libretto del cd (e la grafica del cofanetto è talmente curata e raffinata da riuscire a superare quella dell'album precedente).
Qualcuno li accusa di aver fatto il passo più lungo della gamba: io sono dell'idea che non c'è passo che questo gruppo non sia in grado di fare.
Non vi sottraggo tempo all'ascolto, e vi invio al loro sito, dal quale potete leggere la spiegazione di ogni canzone e in cui potete trovare i testi. http://www.illevriero.it/ianva/lamanodigloria.asp
Qui mi limito a riportarne uno, quello de “L'anarca”, perché in giorni di totale sconforto come quelli che stiamo passando - mi riferisco alla campagna elettorale - l'ascolto di parole di questo tenore è per il sottoscritto una vera e propria boccata d'ossigeno.


Se un giorno le vostre campane la nota più mesta e straziata
La suonassero in morte d’un cane travolto sulla strada,
Non dico che mi ricrederei sul conto di ogni vostro campanile
Ma da cane solo al mondo un vespro lo potrei sentire.
E invece i rintocchi ferali che esortano i popoli al lutto
Sono dati a signori speciali cui dicono dovremmo tutto.
E le distese sonore più sguaiate sempre un po’ ferragostane
Sian senz’altro riservate alle nozze più mondane.
Ma non c’è lega che faccia un fragore
Che possa raggiungermi nel cuore del bosco
Neppure se fosse percossa per ore
Scalzerebbe la voce che domina il posto,
La voce del bosco è un immane me stesso
Che è arbitro solo del bene e del male
E la sola legge tagliatami addosso
E’ scritta nel codice della mia morale.
Gli amici li tengo a distanza
Gli amori, spiacente, lo stesso
Ma questa mia autocoscienza
Sono loro a insidiarla più spesso,
Ma nondimeno mi riesce naturale dare a ognuno il suo dovuto
E accresciuto ritornare il rispetto ricevuto.
Tolleranza non è solo uno sfiato
Specie verso le altrui debolezze
E mai dall’alto in basso ho guardato
Pur chi meritava disprezzo
E non ho mai ingigantito nullità, né sminuito altrui grandezze,
Possa essere dannato se tradisco una promessa.
Mi tengo alla larga da arrampicatori,
Dagli intriganti e da tutti i vigliacchi,
Da chi screditando guadagna favori,
Bado soltanto a pararne gli attacchi,
Non voglio umiliarmi, strisciare o piaggiare
Sebbene l’indotto sia cosa evidente,
Mi piace discutere, ma non litigare,
Preferisco il chiarire al dogma spiovente.
Se sono impeccabile in ogni dovere
E’ solo perché tengo a sentirmi nel giusto,
Tuttavia non corteggio e non servo il potere,
Non concedergli nulla è il mio minimo gusto.
E se il potere spettacolo dona
Non mi vedrete tra i suoi spettatori:
La sola campana che dentro risuona
E’ per i cani chiamatisi fuori


È a coloro che si sentono dei cani chiamatisi fuori, a quanti non sono spettatori dello spettacolo donato dal potere, che dedico queste splendide parole.
Sul fatto che un giorno possano diventare portatori del fuoco ho sinceramente poche speranze; sarebbe tuttavia un delitto non condividere con voi quest'opera d'arte.
Procuratevi questo e gli altri dischi degli Ianva. Studiateli, assimilateli, lasciatevi conquistare. Me ne sarete grati.

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