Ho sempre nutrito un accorato e sincero
odio per le campagne elettorali, anche ai tempi in cui riponevo
qualche fiducia nel sistema di cui le elezioni sono l'espressione più
grottesca.
I barbari che hanno devastato questo
Paese stanno, in questi giorni, cercando di convincervi della loro
innocenza, e indicano come responsabile dell'attuale situazione il
rivale di turno che siede loro di fronte negli studi televisivi. Allo
stesso tempo, vi garantiscono di essere in possesso della bacchetta
magica, che risolverà ogni problema, e vi ammoniscono: se votate gli
altri, la profezia dei Maya si realizzerà e il globo terrestre verrà
distrutto.
Abbiamo tutti, sotto i nostri occhi, lo
spettacolo patetico di Casini e Fini che fingono di non aver mai
avuto nulla a che fare con Berlusconi, di Bersani che si improvvisa
nemico di Monti, di quest'ultimo che finge di essere contro tutti
quando in realtà sa benissimo che chiunque vinca sarà suo alleato -
o meglio, fedele esecutore - nel prossimo governo.
Non mi sembra quindi il caso di
infierire su di voi, che già siete costretti a subire questa farsa
che, con la solita arroganza, invade giornali, televisioni, vie
cittadine. Né d'altra parte potrei io trovare in questa situazione
gli stimoli per un nuovo post: da un lato ho troppo rispetto per
questo blog e ci tengo a mantenere un livello qualitativo perlomeno
decente, dall'altro ho già esposto con chiarezza le motivazioni per
le quali non ho intenzione di partecipare a questo ballo mascherato.
Nelle ultime ore, numerosi stimoli
provengono dall'inattesa abdicazione di Benedetto XVI, e mi potrei
sbizzarrire sulle ipotesi più strampalate in merito ai giochi di
potere interni al Vaticano.
Forse lo farò in futuro, ma per il
momento è meglio attendere gli sviluppi, dato che la notizia è
ancora troppo fresca.
Allora che scrivo a fare? Scrivo perché
oggi vi voglio parlare di musica. O meglio, di un gruppo genovese,
che risponde al nome di Ianva. Per descrivere la musica degli Ianva
potrei dirvi che quest'ultima è influenzata dal neofolk, o da
Morricone, o da De Andrè, così come potrei fare altri mille
riferimenti ma sarei in ogni caso riduttivo, per cui mi astengo.
Mi preme piuttosto segnalarvi il loro
ultimo album, “La mano di Gloria”, uscito già da qualche mese.
Solo nelle ultime settimane sono tuttavia finalmente riuscito ad
apprezzarlo fino in fondo e ad assimilarne le infinite sfaccettature,
musicali, liriche e concettuali. Non si tratta infatti di un disco
facile, ma di un'opera d'arte che dovrete affrontare con lo spirito
di chi apre un testo di filosofia, una raccolta di poesie o si
accinge a vedere un grande classico del cinema. E' insomma, un album
da ascoltare in cuffia, facendo attenzione ai testi, agli
arrangiamenti e al concetto generale.
Rinuncerò a fare una recensione
dell'album, dato che su internet ne potrete trovare a decine, scritte
da autori ben più competenti di me in materia musicale.
Mi limiterò a dirvi che l'album non
sembra essere stato apprezzato come i precedenti, dato che in molti
lo considerano prolisso, ridondante, ne criticano il concept, alcuni
arrangiamenti e persino la registrazione.
Che volete che vi dica? Sono critiche
che comprendo, e che, prima di “entrare” definitivamente nel
disco, ho anche condiviso. Se oggi sono qui a parlarvene, tuttavia, è
perché, ascolto dopo ascolto, questo capolavoro cresce, diventa
sempre meno ermetico, sempre meno complesso, sempre più trascinante.
Anche “La mano di Gloria” è un
concept, così come lo erano stati i precedenti “Disobbedisco!” e
“Italia ultimo atto”. Il primo ricostruiva la vicenda, esaltante
e allo stesso tempo tragica, di un reduce della Grande guerra
arruolatosi nella legione dannunziana e partito alla volta di Fiume.
Il secondo raccontava il nostro dopoguerra, in tredici tracce che ne
narravano altrettante tappe, dall'8 settembre 1943 alla strage alla
stazione di Bologna. Più prosaico e certamente meno romantico del
primo disco, “Italia ultimo atto” è un lavoro indubbiamente
ambizioso, ancora più del suo predecessore. “La mano di Gloria”
alza ancora di più il tiro, dato che stiamo parlando di un concept
ambientato nel futuro e basato sul romanzo, non ancora uscito,
scritto dal cantante Mercy. Per questo motivo ogni canzone richiede,
per essere adeguatamente compresa, la lettura preliminare delle note
inserite nel libretto del cd (e la grafica del cofanetto è talmente
curata e raffinata da riuscire a superare quella dell'album
precedente).
Qualcuno li accusa di aver fatto il
passo più lungo della gamba: io sono dell'idea che non c'è passo
che questo gruppo non sia in grado di fare.
Non vi sottraggo tempo all'ascolto, e
vi invio al loro sito, dal quale potete leggere la spiegazione di
ogni canzone e in cui potete trovare i testi.
http://www.illevriero.it/ianva/lamanodigloria.asp
Qui mi limito a riportarne uno, quello
de “L'anarca”, perché in giorni di totale sconforto come quelli
che stiamo passando - mi riferisco alla campagna elettorale -
l'ascolto di parole di questo tenore è per il sottoscritto una vera
e propria boccata d'ossigeno.
Se un giorno le vostre campane la nota più mesta e straziata
La suonassero in morte d’un cane travolto sulla strada,
Non dico che mi ricrederei sul conto di ogni vostro campanile
Ma da cane solo al mondo un vespro lo potrei sentire.
E invece i rintocchi ferali che esortano i popoli al lutto
Sono dati a signori speciali cui dicono dovremmo tutto.
E le distese sonore più sguaiate sempre un po’ ferragostane
Sian senz’altro riservate alle nozze più mondane.
La suonassero in morte d’un cane travolto sulla strada,
Non dico che mi ricrederei sul conto di ogni vostro campanile
Ma da cane solo al mondo un vespro lo potrei sentire.
E invece i rintocchi ferali che esortano i popoli al lutto
Sono dati a signori speciali cui dicono dovremmo tutto.
E le distese sonore più sguaiate sempre un po’ ferragostane
Sian senz’altro riservate alle nozze più mondane.
Ma non c’è lega che faccia un fragore
Che possa raggiungermi nel cuore del bosco
Neppure se fosse percossa per ore
Scalzerebbe la voce che domina il posto,
La voce del bosco è un immane me stesso
Che è arbitro solo del bene e del male
E la sola legge tagliatami addosso
E’ scritta nel codice della mia morale.
Che possa raggiungermi nel cuore del bosco
Neppure se fosse percossa per ore
Scalzerebbe la voce che domina il posto,
La voce del bosco è un immane me stesso
Che è arbitro solo del bene e del male
E la sola legge tagliatami addosso
E’ scritta nel codice della mia morale.
Gli amici li tengo a distanza
Gli amori, spiacente, lo stesso
Ma questa mia autocoscienza
Sono loro a insidiarla più spesso,
Ma nondimeno mi riesce naturale dare a ognuno il suo dovuto
E accresciuto ritornare il rispetto ricevuto.
Tolleranza non è solo uno sfiato
Specie verso le altrui debolezze
E mai dall’alto in basso ho guardato
Pur chi meritava disprezzo
E non ho mai ingigantito nullità, né sminuito altrui grandezze,
Possa essere dannato se tradisco una promessa.
Gli amori, spiacente, lo stesso
Ma questa mia autocoscienza
Sono loro a insidiarla più spesso,
Ma nondimeno mi riesce naturale dare a ognuno il suo dovuto
E accresciuto ritornare il rispetto ricevuto.
Tolleranza non è solo uno sfiato
Specie verso le altrui debolezze
E mai dall’alto in basso ho guardato
Pur chi meritava disprezzo
E non ho mai ingigantito nullità, né sminuito altrui grandezze,
Possa essere dannato se tradisco una promessa.
Mi tengo alla larga da arrampicatori,
Dagli intriganti e da tutti i vigliacchi,
Da chi screditando guadagna favori,
Bado soltanto a pararne gli attacchi,
Non voglio umiliarmi, strisciare o piaggiare
Sebbene l’indotto sia cosa evidente,
Mi piace discutere, ma non litigare,
Preferisco il chiarire al dogma spiovente.
Dagli intriganti e da tutti i vigliacchi,
Da chi screditando guadagna favori,
Bado soltanto a pararne gli attacchi,
Non voglio umiliarmi, strisciare o piaggiare
Sebbene l’indotto sia cosa evidente,
Mi piace discutere, ma non litigare,
Preferisco il chiarire al dogma spiovente.
Se sono impeccabile in ogni dovere
E’ solo perché tengo a sentirmi nel giusto,
Tuttavia non corteggio e non servo il potere,
Non concedergli nulla è il mio minimo gusto.
E se il potere spettacolo dona
Non mi vedrete tra i suoi spettatori:
La sola campana che dentro risuona
E’ per i cani chiamatisi fuori
E’ solo perché tengo a sentirmi nel giusto,
Tuttavia non corteggio e non servo il potere,
Non concedergli nulla è il mio minimo gusto.
E se il potere spettacolo dona
Non mi vedrete tra i suoi spettatori:
La sola campana che dentro risuona
E’ per i cani chiamatisi fuori
È a coloro che si sentono dei cani
chiamatisi fuori, a quanti non sono spettatori dello spettacolo
donato dal potere, che dedico queste splendide parole.
Sul fatto che un giorno possano
diventare portatori del fuoco ho sinceramente poche speranze; sarebbe
tuttavia un delitto non condividere con voi quest'opera d'arte.
Procuratevi questo e gli altri dischi
degli Ianva. Studiateli, assimilateli, lasciatevi conquistare. Me ne
sarete grati.
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